Il campanile e i numeri

Perché la Bcc di Caravaggio ha detto di no alla fusione con la Bcc di Treviglio

Sembrava tutto fatto, invece... Il problema sta nei conti: i caravaggini sono state formichine, i trevigliesi delle cicale

Perché la Bcc di Caravaggio ha detto di no alla fusione con la Bcc di Treviglio
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di Ettore Ongis

Ha usato toni insolitamente duri il presidente di Confcooperative Bergamo, Giuseppe Guerini, per commentare la mancata fusione fra la “Banca di Credito Cooperativo di Caravaggio, Adda e Cremasco” e la banca “sorella” di Treviglio.

Venerdì 21 maggio il Consiglio di amministrazione della Bcc di Caravaggio ha bocciato all’unanimità la proposta di fusione, caldeggiata anche dalla capogruppo Iccrea, da tempo in prima linea nel favorire l’accorpamento fra le Bcc per dare più forza al sistema bancario cooperativo. Guerini ha parlato di «doccia gelata che rischia di essere un cattivo presagio per il mantenimento della centralità delle Bcc orobiche nel panorama territoriale».

Una dichiarazione amara, seguita da un vero a proprio atto d’accusa contro i vertici della Caravaggio: «Ancora una volta - ha detto Guerini - la difesa di interessi particolari, tra campanilismi e paura di perdita di posizioni di controllo per amministratori e dirigenti (leggasi poltrone, ndr), condanna Bergamo a offrirsi suo malgrado come terra di conquista: la sorte toccata a Bas, poi a Popolare Bergamo, in seguito a Ubi, mette ancora in evidenza il difetto evidenziato dai rapporti Ocse: l’incapacità di fare sistema».

Adesso per Guerini «fa ancora più impressione che a cadere in questa trappola siano le banche di prossimità». L’ultima stoccata va diritta al cuore: «Ma se i fondatori delle Bcc avessero ragionato come chi sostiene di “star bene da soli”, sarebbero mai nate le Casse Rurali? Che ne è del coraggio e della visione dei fondatori del credito cooperativo?».

Tanta asprezza da parte del mite presidente di Confcooperative è difficile da spiegare. Evidentemente c’era una grande attesa per il buon esito della fusione. Ma se è così, perché la Caravaggio, a partire dal presidente Giorgio Merigo, che in un primo tempo sembrava favorevole al matrimonio, ha optato per un no secco e definitivo?

La sede della Bcc di Caravaggio in via Falcone a Bergamo

La vicenda si potrebbe riassumere con la favola della cicala e della formica. Con il ruolo della formichina interpretato dai Caravaggini, quello della cicala dai Trevigliesi. In estrema sintesi, le cose stanno così: Treviglio si presenta con un patrimonio netto di 74 milioni contro i 148 di Caravaggio, la metà esatta. Ma dei 74 di Treviglio, almeno trenta sono crediti non performing, ossia deteriorati, prestiti la cui riscossione è considerata a rischio. Con la fusione - è il ragionamento dei Caravaggini - ne uscirebbe sì una “banca somma” di dimensioni importanti, ma assolutamente sotto patrimonializzata. E la carenza di patrimonio non consentirebbe di fare impieghi, cioè la banca.

Non solo: i costi amministrativi delle due Bcc sono molto diversi. Treviglio, che ha lo stesso fatturato di Caravaggio, spende circa sette milioni in più all’anno. Come a dire che per offrire uno stesso servizio qualcuno lo ha fatto attraverso una gestione oculata, altri hanno largheggiato. Con la fusione, perciò, si sarebbero imposti per la Treviglio tagli dolorosissimi, oppure per la Caravaggio un consistente aumento dei costi. Con sulla testa la spada di Damocle che incombe a fine anno delle moratorie che andranno in scadenza: quante imprese riusciranno a rimborsare? Quanti lavoratori senza più un’occupazione potranno far fronte ai mutui? (...)

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