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Il film da vedere nel weekend A Private War, la forza delle notizie

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Regia: Matthew Heineman.
Con: Rosamund Pike, Jamie Dornan, Tom Hollander, Stanley Tucci, Greg Wise.
Dove vederlo a Bergamo e provincia: qui.

 

Il nome di Marie Colvin potrebbe non dire nulla ai più, senza che ci sia nulla di male. La Colvin è stata, però, una delle più importanti reporter dei nostri tempi e ha avuto una carriera lunga e brillante, che l’ha vista testimoniare i più cruenti teatri di guerra dal 1985 al 2012. Un periodo di tempo ragguardevole, soprattutto considerando i tragici rivolgimenti in atto in varie parti del pianeta durante questo trentennio. Grazie a lei abbiamo raccolto alcune delle più importanti interviste mai rilasciate da personaggi chiave del mondo contemporaneo, come Arafat e il colonnello libico Gheddafi. Donna decisa e coraggiosa, perse un occhio durante una delle sue spedizioni, ma continuò comunque a svolgere il suo lavoro con grande intelligenza e professionalità, accompagnata dal fotografo Paul Conroy.

Dietro un biopic (film biografico legato a un certo personaggio) non sempre ci sono una grande ispirazione e – soprattutto – un grande interesse cinematografico. Qui è stato però chiamato alla regia Matthew Heineman, che negli ultimi anni si è fatto conoscere con una serie di documentari interessanti girati in alcuni dei luoghi più pericolosi del pianeta (basti pensare a City of Ghosts, dedicato allo Stato Islamico di al-Baghdadi e alla conquista della città di Raqqa). Il suo percorso creativo sembra intrecciarsi in maniera perfetta con quello umano del personaggio che vuole raccontare e il risultato complessivo di A Private War, in questi giorni in sala, ce lo dimostra. La pellicola segue il percorso giornalistico della protagonista e accompagna lo spettatore alla scoperta (cinematografica) di alcuni dei teatri di guerra più cruenti della nostra storia recente. Luoghi spesso dimenticati o silenziati dall’informazione generalista, con i quali il pubblico mainstream non ha alcun rapporto diretto. Eppure si tratta di immagini potenti e destabilizzanti, che hanno un effetto dirompente anche su Colvin: il film, infatti, si premura di mostrarci anche come la protagonista reagisce di fronte a quello spettacolo e modifica se stessa e la propria visione del mondo.

 

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Più in generale, poi, il film si lascia ricordare soprattutto per il suo problematizzare il gesto di Colvin e del suo fotografo, vale a dire quello di documentare la sofferenza altrui. Quale è il confine fra necessità della testimonianza e spettacolarizzazione del dolore? Fin dove è lecito spingersi? Si tratta di veri e propri nodi gordiani, che tanta letteratura (Susan Sontag nel suo Davanti al dolore degli altri) e cinema (si veda il bel Lo sciacallo) hanno cercato di sciogliere, solitamente senza riuscirci. Anche A Private War non si arroga il privilegio di formulare risposte o giudizi definitivi, ma ha il grande pregio di mettere lo spettatore di fronte alla complessità dei fenomeni che intende rappresentare. A Private War è un ottimo biopic proprio perché, insomma, non è solo un biopic. A partire dalla singolare vicenda della propria protagonista, infatti, il film allarga il proprio sguardo fino ad accogliere questioni cruciali sul visibile contemporaneo, sul senso dell’impresa giornalistica e sull’etica dell’immagine. In un’epoca in cui la politica discute spesso a sproposito di questioni quali la libertà di informazione e il dovere dei giornalisti, un film come questo ha il pregio di rimettere in primo piano il senso intellettuale di un mestiere e di un’azione pericolosa e fondamentale

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