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Il film da vedere nel weekend "Il giovane favoloso" cioè Leopardi

In città, allo Studio Capitol Multisala (Bergamo), ore 14:30 17:15 20:00 22:30. In provincia, all'Ariston Multisala (Treviglio), ore 15:00 17:10 19:50 22:20.

Il film da vedere nel weekend "Il giovane favoloso" cioè Leopardi
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Presentato e applaudito all’ultimo Festival del Cinema di Venezia, il nuovo film di Mario Martone rilegge e racconta la storia del poeta Giacomo Leopardi. Proprio per l’indubbia importanza storica del personaggio in questione e per il gran numero di preconcetti stereotipici che sono legati alla sua vicenda biografica, un film del genere avrebbe potuto facilmente cadere nel ridicolo. I rischi insiti in una pratica di questo tipo sono molti, primo fra tutti quello di raccontare in modo acritico l’immagine del personaggio e, secondariamente, di banalizzarne gli aspetti più problematici, a vantaggio di alcuni che magari a posteriori sono stati eletti come centrali.

Martone inaugura la sua opera con un’immagine fortemente caratterizzata: tre bambini, i fratelli Leopardi, giocano nei pressi di una siepe. Intuibilmente si tratta della famosa siepe de L’Infinito, simbolo di una vena poetica prematura ma sempre castrata dalla presenza ingombrante di un padre imbrattacarte (Monaldo è storicamente - la sua biblioteca ce lo testimonia - l’esempio di un erudito da quattro soldi, simile al Don Ferrante raccontato da Manzoni nel suo romanzo) e di una madre ostile, che tarpa qualsiasi desiderio del giovane Giacomo. Adelaide Antici è rappresentata da Martone con pochi semplici tratti, privata di qualsiasi spessore a tutto vantaggio di una figura monolitica e rigida, come dev’essere stata effettivamente quella della contessa Leopardi, albero maestro dell’economia e dell’andamento della famiglia.

 

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Così, l’adolescenza del giovane Leopardi viene incastrata in un labirinto di stanze e negli incunaboli della polverosa biblioteca messa frettolosamente insieme da Monaldo, su cui il giovane protagonista avrà modo di saggiare le proprie abilità di traduttore e classicista, mai abbandonate anche quando il poeta darà origine a un nuovo modo di fare poesia, quello degli Idilli intimistici e poi di quelli maggiori, fino al culmine poetico de La ginestra. E mentre sembra di rivedere la storia di un altro grande genio della cultura (Mozart, magistralmente impaginato nei fotogrammi di Amadeus), Martone dispiega un accompagnamento musicale che tende ad un libero eclettismo, fondendo in maniera eccentrica ma calibrata toni delle provenienze più diverse.

 

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Abbandonati «i veroni del paterno ostello», con un consistente taglio cronologico, forse esagerato, veniamo accompagnati a Firenze, dove vengono introdotti alcuni dei personaggi più importanti per la formazione del giovane, come l’amico Antonio Ranieri e una delle più importanti donne amate dal poeta. Firenze è anche il primo dei luoghi in cui Giacomo si trova lontano dal controllo familiare e può confrontarsi con la società intellettuale e culturale del tempo. Purtroppo, come per molte cose della sua vita, invece di rivelarsi un proficuo modo di approfondire le proprie conoscenze e di farsi conoscere per il suo valore poetico, questo incontro si rivelerà essere una delusione: Leopardi, in quanto potenziale veicolo di una filosofia storica contraria al progressismo imperante all’epoca, verrà progressivamente marginalizzato dalla vita culturale fino all’esclusione completa.

L’epilogo, dopo il deludente soggiorno romano che Leopardi racconta in accorate pagine del suo Zibaldone, in cui si mostra dominato da un senso di sconforto per la propria figura e per i suoi rapporti sfortunati con l’universo femminile, ci porta a Napoli. Il capoluogo campano è rappresentato dalla regia martoniana con un affetto evidente, forse eccessivo, considerata l’importanza relativamente limitata che Napoli ha avuto nella vita del poeta recanatese. Sui crinali del Vesuvio si concluderà infelicemente la vita di uno dei più grandi poeti d’Italia.

 

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Martone, regista navigato ed esperto, che forse ostenta un po’ troppo alcuni elementi della sua poetica, propone l’immagine di un Leopardi «umano, troppo umano», raccontato nella sua vicenda come un personaggio debole, malato e fragile. Per alleggerire una composizione altrimenti davvero troppo pesante, come spesso rischia di essere l’immagine del poeta di Recanati, Martone sfrutta Elio Germano per inserire frammenti ironici ma non per questo poco lucidi all’interno della struttura narrativa: decostruendo l’immagine un po’ polverosa di intoccabile mito nazionale, la dimensione umana prende il sopravvento e porta a una riscoperta dell’ironia sottesa a molti dei testi di Leopardi che, sin dalla più giovane età, era un grande amante degli scherzi letterari e delle falsificazioni erudite.

Rivedere al cinema la vita del poeta di Recanati dovrebbe spingerci a rivalutare la sua poesia, considerandola più un manifesto del contemporaneo, piuttosto che un residuato del classicismo ottocentesco.

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