Il progetto «Faccia a Faccia»

Lab80 per Dalmine, «In quei filmati gli anni migliori della nostra vita»

Lab80 per Dalmine, «In quei filmati gli anni migliori della nostra vita»
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Il passato è entrato nelle stanze della Fondazione Dalmine lo scorso dicembre, con la presentazione del progetto Faccia a faccia: un’idea ambiziosa, che si è tradotta in una mastodontica raccolta di antichi filmati amatoriali, tutti girati nella seconda metà del Novecento, tra gli anni Cinquanta e Novanta. «Dal momento in cui l’invito è stato lanciato, siamo riusciti a raccogliere 234 bobine, per un totale di diciassette ore di girato, e più di 14mila e cinquecento metri di pellicola - racconta Giulia Castelletti, che cura il progetto Cinescatti Lab80, autore del progetto. «È stato un lavoro davvero intenso, che è volato in batter d’occhio ma che meritava di essere fatto».

 

 

A conti fatti, dunque, si parla di più di quattordici chilometri di pellicola su cui scorrono infiniti frammenti di vite, momenti di quotidianità che qualche cameraman per caso ha pensato di catturare, e che ora Cinescatti ha fatto riemergere dall’oblio. «Qualcuno, all’inizio di questa avventura, ci ha domandato a cosa servisse, nella pratica, raccogliere le immagini di quei matrimoni, di quei battesimi, di quelle gite in montagna. Rispondo dicendo che per noi dell’archivio di Cinescatti ogni bobina è stata fondamentale, perché ciò che è la storia privata di ognuno di voi diventa anche uno spaccato di vita di grandissima utilità storica. Il nostro non è solo un archivio che prende materiale, ma anche un archivio che vuole restituire».

 

 

Ed è per mantenere fede a quest’ultima promessa che, nella serata di venerdì 15 dicembre 2017 è stato mostrato alla platea un cortometraggio di circa quindici minuti, concepito per dare un piccolo spazio di notorietà a ognuno di quei filmati. Davanti a quello spettacolo privato eppure pubblico, qualcuno esplode in una risata, qualcun altro cerca invece di azzeccare il luogo rappresentato, prorompendo d’un tratto in uno stentoreo «l’è Sforsàdega chèla lé!». C’è però anche chi avverte che quelle immagini toccano le corde più delicate della sua epoca passata e sconosciuta al resto del mondo, e lascia scivolare nel buio della sala un paio di lacrime. In generale, comunque, il pubblico si trasforma in un organismo unico, che scivola compatto in un religioso silenzio, mentre osserva sullo schermo il fluire dei propri ricordi tradotti in immagini, mescolati ad altri ricordi sconosciuti. Tra cui quello di un bambino avvolto in una coperta di lana e cullato dalla nonna che lo fissa amorevole; quello di una giovane sposa che schiva l’occhio invadente della cinepresa con fare imbarazzato; quello di una coppia di fidanzatini che gioca a rincorrersi su un prato di collina.

 

 

«Nei filmati che abbiamo messo a disposizione ci siamo io, mio marito e i miei figli - racconta Antonia Bergamoni, un’anziana originaria di Stezzano e cittadina di Mariano da ben cinquant’anni -. Io sono sempre stata fotografa, mentre mio marito era geometra, e lavorava alla Dalmine come progettista. Così, quando ho ricevuto l’invito alla consegna del mio materiale, ho voluto condividerlo, perché i proiettori non esistono più, e questo era un bel modo per avere la copia digitalizzata. Rivedersi è stato strano, mi ha fatto salire il magone. È stato un po’ come tornare indietro nella mia vita». Un pensiero condiviso da tutta la gente che ha deciso di regalare i propri ricordi e di metterli a disposizione dell’archivio di Cinescatti.

 

 

«Il nostro materiale risale agli ultimi anni settanta e primi anni ottanta - spiega Carlo Faggioli -. A quel tempo avevamo i bimbi piccoli, e sono stati gli anni migliori della nostra vita, quelli spesi a cavallo tra la giovinezza e la maturità. Oltre ai momenti personali, quelle immagini restituiscono un volto di un’epoca lontana, quella in cui non c’erano problemi di lavoro, potevamo permetterci di avere figli senza il terrore del precariato». E poi ancora, la storia di Pierfranco Camerino, che spiega come «i filmati che ho portato in Fondazione ritraggono scene di famiglia e hanno davvero troppi anni alle spalle. Basta calcolare che oggi, di anni ne ho settantuno, mentre su quelle pellicole dovevo averne più o meno venticinque. Di tutte le persone presenti in quei video amatoriali, sono sopravvissuti solo due parenti. Le altre se ne sono andate tutte, tra cui la mia prima moglie, che ho perso quando avevo quarantadue anni. Raccogliere questo materiale e farlo riemergere è stata per me un’occasione preziosa».

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