Intervista

«Sulla Luna c’è una bandiera Usa e un gagliardetto dell’Argentina»

«Sulla Luna c’è una bandiera Usa e un gagliardetto dell’Argentina»
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«Non ho nulla contro i Vietcong, loro non mi hanno mai chiamato negro». Parole che costarono al più grande pugile di tutti i tempi il titolo di campione del mondo, senza mai essere stato sconfitto. Dieci anni più tardi, nella notte più incredibile della storia dello sport, nel più improbabile degli scenari, la corona mondiale torna sulla testa di Muhammad Ali. In A night in Kinshasa, domani al Creberg Teatro, la straordinaria dote narrativa e affabulatoria di Federico Buffa, giornalista e telecronista sportivo, reduce dal successo delle trasmissioni di Sky e dallo spettacolo teatrale Le Olimpiadi del ’36, conduce in un viaggio attraverso la vita straordinaria di una leggenda dello sport mondiale. Con lui sul palco, tra luci al magnesio accecanti e corde del ring srotolate, due jazzisti. Alessandro Nidi al piano e Sebastiano Nidi alle percussioni.

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Una storia straordinaria, quella di Kinshasa. Quale il momento più emozionante?

«Il finale, perché Muhammad Ali aveva questa strana abitudine di registrare le telefonate. Stiamo parlando degli anni ‘70. Voleva lasciare ai figli una testimonianza di chi fosse il loro padre. Ne ha avuti molti di figli, da più donne, quindi non li vedeva tutti allo stesso modo. Casualmente registra anche una telefonata con George Foreman, che ha incontrato a Houston cinque anni dopo l'incontro di Kinshasa mentre predicava su una cassetta di frutta. I due diventarono grandi amici e quella telefonata del 1979, che nello spettacolo riduciamo rispetto all'originale, ha un'attualità impressionante».

 

 

Di campioni ne ha raccontanti tanti: ha individuato un paradigma dell’essere campioni, qualcosa che li accomuna?

«Se ne accorgono da adolescenti, a 14-15 anni. Capiscono di avere delle doti non comuni, un motore differente, un’elasticità muscolare superiore a quella dei loro avversari, e che possono diventare dei fenomeni. Quelli che riescono a segnare la storia dello sport sono gli ossessivi, cioè quelli che non pensano che a questo. Ali era sicuramente un ossessivo».

La prossima storia che porterà a teatro?

«L’anno prossimo sarò in tournèe con Il rigore che non c'era, che però non è una storia di natura strettamente calcistica. Prende spunto dalla storia leggendaria, ma vera, dell'argentino che ci mise una settimana a calciare un rigore. Parte con il millesimo gol di Pelè, al Maracanà, nel 1969. Ma c’è molto altro. Divertente il mio monologo finale sulla Luna, in cui racconto che l'astronauta Armstrong appoggiò sul satellite, oltre alla bandiera americana, anche il gagliardetto dell’Independiente perché alcuni argentini, che sono gente davvero matta per il calcio, l'avevano subissato di richieste perché esaudisse questo loro desiderio. Pazzesco».

 

Per leggere l’articolo completo rimandiamo a pagina 49 di Bergamopost cartaceo, in edicola fino a giovedì 8 marzo. In versione digitale, qui.

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