"Estate Magggica" di Giancane al Rock sul Serio: «Porto leggerezza in un momento tosto»
Il cantautore romano in scena stasera (17 luglio) a Villa di Serio: «Nel mondo non è un momento sereno, la musica è il mio sfogo»

di Matteo Rizzi
Stasera, giovedì 17 luglio, l’Estate Magggica Tour di Giancane fa tappa a Rock sul Serio, il festival giunto alla sua 22ª edizione e in programma a Villa di Serio fino al 20 luglio con ingresso libero senza prenotazione e un palinsesto denso di proposte indipendenti (ogni sera concerti, birreria, cocktail bar e ristoranti a disposizione dei partecipanti). Così, Rock sul Serio conferma il suo patto con la sostenibilità: pratiche plastic‑free, stoviglie riutilizzabili e progetti sociali in collaborazione con associazioni locali.
Stasera, sul main stage, si alterneranno Giancane e SERP, in un serata che promette energia autentica e riflessioni taglienti. Come spiega Giancane - che ha già fatto tappa a Rovereto, Milano, Napoli, Roma, Corato, Bologna, Monteflavio e Prata d’Ansidonia -, il suo live è un rito collettivo: ballo sì, ma con consapevolezza di un mondo in tensione. Musica, risate e pensieri per restare vivi, non per ignorare ciò che accade.
Conosci già questo festival, giusto?
«Sì, sì, questa è la quarta o la quinta volta che ci suono. La prima era con un’altra band, poi sono tornato più volte come Giancane. Mi ricordo pure la prima volta: suonavo la chitarra in un gruppo dove facevo il sostituto… I Set Side Projects si chiamavano. Poi con i Sick Tamburo ci sono tornato un paio di volte. Questa è la prima volta che non ci sono loro, un po’ mi dispiace. Però sì, sono contentissimo: ormai conosco tutti, sono amici».
A che punto sei del tour e come sta andando?
«Siamo già a otto, nove date, forse pure qualcuna in più. Abbiamo iniziato ufficialmente al Magnolia il 13 giugno. Poi c’è stata Roma, Bologna, Milano… Ormai gioco in casa. In generale, sto bene. Alcune tappe erano nuove per me, come in Abruzzo, dove non avevo mai suonato, ed è stato molto divertente».
E com'è il pubblico che stai incontrando in giro?
«Nella mia bolla va tutto bene, diciamo. È un giro che ho già fatto, tranne alcuni posti nuovi. E il pubblico lo sento molto partecipe. Poi, al di fuori dei live, il sentore generale è un po’ più cupo, tra guerre, massacri, l’economia disastrosa… Insomma, non è proprio un momento sereno. Però nei concerti si respira ancora un po’ di leggerezza».
In effetti, nei tuoi testi si leggono molte riflessioni su un presente difficile. Come vivi tutto questo?
«Male, se non avessi la musica come sfogo. Per fortuna c’è il suonare, ci butto dentro tutto quello che non mi piace. Altrimenti, oltre a uno psicologo - che già vedo -, me ne servirebbero due o tre. Un’equipe intera, un pool!».
La musica ti ha sempre aiutato? C'è stato un momento della carriera in cui questa funzione è stata ancora più forte?
«Così tanto no, direi di no. Forse dipende anche dall’età, dal fatto che uno cresce o invecchia. Vedo le cose in modo diverso, magari sono meno disilluso… O forse lo sono di più. È difficile da dire. Comunque sì, il mio sentire è cambiato, e cambierà ancora».
Parliamo di live: il tuo approccio sul palco è sempre sembrato molto rilassato, autentico. In tutti questi anni, come hai visto cambiare il mondo dei concerti?
«Suono da più di vent’anni e con progetti più conosciuti da quindici. È cambiato tutto, com’è normale. Il mio approccio però è sempre lo stesso, anzi mi diverto di più: prendo spunto da quello che succede intorno. A Roma, dove vivo, vedo una scena musicale che cerca di rinascere, ma tra affitti alle stelle e mancanza di spazi è difficile. Mancano quei locali medio-piccoli dove iniziare a suonare senza troppi problemi. Quelli per me sono stati fondamentali. Ora vedo che si passa dal minuscolo al medio-grande, saltando un passaggio importante».
Parlando di pubblico: nel tempo si è creata una vera e propria comunità attorno a te. La percepisci questa cosa?
«Sì, adesso che me lo fai notare sì. In alcune zone ormai conosco le persone che vengono ai concerti, li vedo sempre. È fondamentale per me, mi fa sentire meno solo, e magari fa sentire meno soli anche gli altri. Scrivo di quotidianità, cose concrete, e penso che chi mi ascolta si riveda nei testi o nella mia tranquillità. Dopo i concerti rimango sempre a parlare, non mi piace fare la star. Siamo persone prima di tutto. Non voglio costruirmi una campana di vetro, non ha senso. Voglio restare me stesso».
E chi viene per la prima volta a un tuo concerto, che cosa dovrebbe aspettarsi?
«Non lo so e nemmeno mi interessa troppo. Mi piace che ognuno viva l’esperienza a modo suo. Magari all’inizio è difficile entrare nel mio mondo, ma, vedendo le persone intorno, forse uno si lascia andare. Adesso viene anche tanta gente con bambini, vanno oltre alle parolacce. Che continuerò a dire, perché le ho sempre dette. Non voglio piacere a tutti, voglio che ognuno capisca quello che vuole capire».