Biografico

Per i suoi 80 anni Roby Facchinetti si regala un libro pieno di ricordi

«Sono nato e cresciuto nella valle d’Astino, poche case, qualche cascina, sette, otto famiglie, ci si conosceva tutti»

Per i suoi 80 anni Roby Facchinetti si regala un libro pieno di ricordi
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Di Fabio Santini

«Al mio libro avrei voluto dare un titolo diverso: “Il bambino con la cartella di legno”. Forse era più poetico rispetto a “Che spettacolo è la vita”. La cartella di legno me l’aveva costruita e cesellata mio papà che era falegname artigiano. E io arrivavo a scuola portandomela dietro, facendo un baccano dell’accidente. Ricordo che quando camminavo lungo i corridoi della scuola elementare lo sbatacchio dei libri e delle penne rimbombava verso le volte del soffitto e rimbalzava in qualche modo annunciando il mio arrivo. La maestra chiamò mia mamma e dovetti dotarmi di una cartella di stoffa come usavano allora…».

Roby Facchinetti, 80 anni, sorseggia una spremuta d’arancia al Wellness Cafè di Largo dei Mille. La gente lo riconosce e lo omaggia con un sorriso, una stretta di mano. Poi arriva un vecchio amico, il mediatore immobiliare Franco Riva: «Quest’uomo ha fatto vendere e comprare mezza Bergamo all’altra metà di Bergamo». L’età suggerisce di raccontare la vita, i ricordi di un tempo ormai andato senza cadere nel retaggio della nostalgia, rivelando episodi che definiscono il suo carattere, i suoi valori.

«Ho pensato a un bambino che improvvisamente entra a casa mia. Hai i miei occhi azzurri e vagamente diabolici, i piedi nudi, indossa vestiti un po’ sdruciti. Quel bambino era Camillo, quel bambino ero io. E quell’apparizione mi ha suggerito di raccontare la mia vita dagli inizi. Sono nato e cresciuto nella valle d’Astino, poche case, qualche cascina, sette, otto famiglie, ci si conosceva tutti. Vivevamo come in una comunità. Se a uno mancava il sale o la farina sapeva che poteva andare a chiederli ai vicini.

Papà aveva lavorato la terra, ma era falegname, un artigiano creativo e dalle idee spiazzanti. Aveva 17 anni papà quando ha conosciuto mia mamma Emilia che ne aveva 13. Colpo di fulmine. Staranno insieme una vita, cinque figli da crescere. E quando è morto mio zio Giosuè mamma e papà si sono offerti di aiutare la zia Lucia sua moglie e i loro sei figli. Eravamo una cricca affiatata e rumorosa. Io ne sono divento il capo. Il mio passatempo era salire sul ciliegio che dà sulla collina. Mi dicevano che dalla cima del tronco potevo scorgere la Madonnina del Duomo di Milano. Non è mai successo. Si giocava con palloni di pezza, si facevano scherzi semplici e divertenti.

Ricordo un papà che portava suo figlioletto costretto su una carrozzina a giocare con noi. Noi tutti ci siamo affezionati a questo bambino cui regalavamo attimi di felicità. Un giorno suo papà ci ha detto che se ne sarebbero andati in un’altra città. Ci siamo rimasti male. Non mi sono mai piaciuti gli addii, nemmeno adesso. Così mi sono arrampicato su una pianta di fichi e sono scoppiato a piangere, senza farmi vedere da nessuno. Poi la magia della musica: l’incontro con il maestro Ravasio, insegnava fisarmonica e molti suoi allievi erano virtuosi di quello strumento. Prima lezione: un’ora di solfeggio. Rivolto a mia mamma, le ha detto: suo figlio ha volontà, tenacia, in lui c’è qualcosa… Facendo grossi sacrifici, mi hanno regalato una fisarmonica cromatica che anni dopo la mamma ha donato al seminario di Bergamo. Poi è arrivato un piano verticale. Su quello strumento che ancora conservo sono nati “Pensiero”, “Tanta voglia di lei” e altri successi dei Pooh...».

A questo punto la storia di Roby Facchinetti e dei Pooh è nota a tutti. La sua famiglia, la moglie Giovanna il grande amore della sua vita, i figli, i mille ricordi con Valerio, Dodi, Red, lo straziante addio di Stefano. Non basterebbe questo giornale per raccontare la vita di questo straordinario personaggio e dei suoi amici. Ma ci piace pensare, come scrive Roby nel libro, che «grazie alla musica ho trasmesso emozioni e sentimenti positivi, in un certo senso rivoluzionando la vita come hanno sognato di fare tanti della mia generazione. Siamo passati dall’essere spettatori a protagonisti di un’esistenza nostra».

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