La Germania smonta l’Europa e studia un piano per abbandonarla
Il clima tra Roma e Bruxelles è sempre più teso. Renzi, per la prima volta da quando è salito al governo, ha deciso di andare allo scontro frontale con le istituzioni europee, in particolare con il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, e quest’ultimo non si è certo tirato indietro, ribattendo colpo su colpo. Purtroppo però, l’Italia è rimasta sola in questa battaglia ideologica, abbandonata a quanto pare anche dalla persona che avrebbe dovuto rappresentare il tricolore nei piani alti dell’Ue, ovvero Federica Mogherini, Lady PESC, l’ex ministro di Renzi diventata “ministro degli Esteri” europeo con grande orgoglio del premier. Renzi, infatti, ha dichiarato: «Nella Mogherini non ho trovato sponde». Tradotto: l’ex ministro, ora che è a Bruxelles, non aiuta più l’Italia nelle sue battaglie. Un’accusa dura, confermata anche da Simona Bonafè, europarlamentare del Pd, che intervistata da Gianni Minoli su Radio 24 ha affermato: «Devo ammettere che le ultime prese di posizione della Mogherini mi sono sembrate un eccesso, mi hanno ricordato il detto “fatta la festa, gabbato lo santo”. Io capisco che Federica Mogherini abbia l’obbligo di fedeltà al collegio dei commissari, vedo però che molti dei suoi colleghi che dovrebbero rappresentare l’Europa quanto lei che non perdono occasione per difendere gli interessi nazionali».
[Jean-Claude Juncker e Matteo Renzi all'Europarlamento]
Tutta colpa di Berlino. Lo scontro Renzi-Juncker, però, ha avuto inizio ancora prima delle dichiarazioni di fuoco tra il premier e il presidente della Commissione. E a scatenarla è stato proprio quest’ultimo, decidendo di sua sponte di eliminare dal suo ufficio l’unico italiano presente, ovvero il giurista Carlo Zadra, sostituito dal britannico Michel Shotter. Una scelta d’autorità, che ha tolto all’Italia l’unica fonte interna alle stanze del potere di Bruxelles e che, secondo i bene informati, avrebbe fatto letteralmente infuriare Renzi, con le conseguenze a cui tutti quanti, oggi, stiamo assistendo. Stando a quanto riportato dal giornalista Maurizio Blondet, la scelta di Juncker sarebbe però stata “guidata” da una mano esterna: quella della Germania. Niente di nuovo: che Berlino sia la vera forza in Europa non è certo una novità. E la Merkel non avrebbe preso affatto bene le staffilate arrivate da Roma nelle scorse settimane, in particolare sull'affare del raddoppio del gasdotto North Stream da cui il nostro Paese (così come tanti altri) sarebbe stato bellamente escluso. Negli ultimi tempi, infatti, le politiche “europee” di Berlino hanno creato diverse fratture, non soltanto quella con l’Italia, che tra l’altro è quella più mediatica ma meno netta vista la debolezza intrinseca al governo nostrano.
Germania versus Svezia. In precedenza, infatti, un’altra frattura di non poco conto nell’Ue c’è stata tra Germania e Svezia. Il Paese scandinavo, che nel 2015 ha accolto circa 160mila profughi a fronte di una popolazione di appena 10 milioni di abitanti, ha deciso, insieme alla Danimarca, di sospendere Schengen e reintrodurre i controlli ai confini. In particolare ai confini della Germania, da dove negli ultimi mesi si erano enormemente intensificati i passaggi di richiedenti asilo. Stoccolma, stanca di dover accogliere gli “scarti” di Berlino, ha detto basta. Mossa che non è andata giù alla Merkel, che ha parlato di «Schengen in pericolo». Il portavoce del ministro degli Esteri tedesco ha poi aggiunto: «La libertà di movimento è un principio importante, uno dei risultati più grandi (nell’Ue) negli ultimi anni. La libera circolazione è un bene prezioso». Dichiarazioni giustissime, se non fosse che proprio la Germania, nel novembre scorso, ha deciso di sospendere Schengen, così come hanno fatto gli “amici” Francia e Paesi Bassi. Nel complesso, ad oggi sono 13 i Paesi che hanno sospeso Schengen (l’Austria è l’ultima) ripristinando i controlli alla frontiera. E le conseguenze ricadono sui Paesi più deboli, Italia compresa, costretta così a tenersi in casa i migranti che arrivano nonostante il piano di redistribuzione approvato l’estate scorsa, finito chissà dove.
[Il nuovo presidente polacco Jaroslaw Kaczynski e il suo primo minstro, Beata Szydlo]
Germania versus Polonia. Frattura più recente è quella tra Germania e Polonia: il nuovo presidente polacco, il cattolico reazionario e anti-europeista (tanto quanto anti-russo) Jaroslaw Kaczynski, non piace per niente né a Berlino né a Bruxelles. Il suo modello di governo è quello dell’ungherese Orban e non ha la minima intenzione di entrare nell’euro: difficile trovare un punto d’incontro. E infatti, quando Kaczynski ha deciso di cambiare alcuni giudici della Corte Costituzionale, il numero uno dell’europarlamento Martin Schulz (tedesco) ha dichiarato che il governo di Varsavia aveva compiuto «un colpo di Stato». Dura affermazione a cui ha reagito altrettanto duramente il primo ministro polacco Beata Szydlo, che ha definito il commento «inaccettabile» ed ha chiesto le scuse dell’Ue. Il 10 gennaio, però, Schulz ha rincarato la dose, affermando che l’avvento al potere di Kacszynski sta portando a una «putinizzazione dell’Europa». Questa volta a rispondergli è stato il ministro polacco della Giustizia, Zbigniew Ziobro: «Voi (i tedeschi, ndr) volete mettere la Polonia sotto sorveglianza. Tali parole pronunciate da un uomo politico tedesco suscitano tra i polacchi le peggiori associazioni, e io sono fra questi». Berlino è passata allora dalle parole ai fatti, chiedendo a Bruxelles delle sanzioni contro la Polonia, rea di non adeguarsi ai «valori europei».
Il presunto piano tedesco per lasciare l'Ue. Il risultato di tutte queste fratture è un’Europa sempre meno unita, divisa proprio dalle scelte politiche del Paese che, in questi anni, si è autoproclamato, con i fatti, guida dell’Ue, ovvero la Germania. Berlino, che ha sempre pensato di poter comandare tenendo ben salde le redini economiche del Vecchio Continente, si sta trovando ora costretta a dover fare i conti con questioni sociali e culturali, problemi a cui non sa come rispondere. E così si chiude a riccio. Anche perché la Merkel ha un nuovo problema in casa, cioè il crollo della sua popolarità tra la popolazione tedesca: l’ultimo sondaggio realizzato da Forschungsgruppe Wahlen il 18 gennaio vede la Cdu-Csu della Cancelliera in netto calo al 32,5 percento, dopo che il 22 settembre 2013 aveva ottenuto il 41,5 percento. E tra i motivi di malcontento dei tedeschi c’è anche la politica europea della Merkel, accusata di dare troppo peso alle vicende dell’Ue e poco peso a quelle di Berlino.
[Il crollo del consenso della Merkel in Germania]
Per questo, secondo quanto riportato da Affari Italiani, il governo tedesco Cdu-Spd starebbe lavorando a un “piano di emergenza” in caso di disgregazione dell’Unione europea e ovviamente anche della moneta unica. Nell'articolo si legge: «Ufficialmente nessuno a Berlino è pronto ad ammetterlo, ma diversi deputati del Bundestag, soprattutto della Csu bavarese, sarebbero al lavoro, con l’ok della Merkel, per studiare come muoversi nel caso in cui la situazione precipitasse». Sintomo che anche la Germania ritiene di essere innanzi a quello che il politologo americano Edward Luttwak chiama «il disfacimento della Ue». I sintomi ci sono tutti: la crisi dell’euro; la scellerata gestione dell’emergenza migranti; l’incapacità di difendere unitamente i confini europei; il silenzio inerme del Parlamento europeo; la crescita nei vari Paesi dei partiti euroscettici. La goccia che potrebbe far traboccare il vaso rischia di arrivare la prossima estate: se la Gran Bretagna votasse “sì” al referendum sulla cosiddetta Brexit, ovvero l’uscita dall’Ue, il sistema potrebbe implodere, e con esso l’Europa politica intera, portando giù anche quella economica, cioè l’euro. La situazione quindi è tesa: la Germania, grande artefice della nascita dell’Ue, è oggi probabilmente una delle maggiori colpevoli del suo fallimento, ma è anche l’unica ad essersi resa conto (almeno pare) dell’emergenza e a muoversi per studiare un piano B. Una cosa normale. La domanda è un’altra: gli altri Paesi, Italia compresa, un piano B ce l’hanno?