Cause e soluzioni del problema

Le 4 banche salvate dal Governo e la loro amministrazione "allegra"

Le 4 banche salvate dal Governo e la loro amministrazione "allegra"
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Con un decreto dall'effetto immediato, ovvero a partire già da oggi, lunedì 23 novembre, il Governo ha varato il piano per salvare le quattro banche italiane che nelle ultime settimane avevano pubblicamente annunciato di non riuscire più a sopportare le eccessive sofferenze a cui erano esposti alcuni asset dei propri bilanci. Si tratta di Banca Marche, Banca popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di risparmio di Ferrara e Carichieti. Si tratta di un programma che mira a salvare i settori sani di ciascun istituto di credito attraverso la creazione di nuove società, e di smaltire quelli irrecuperabili attraverso l'utilizzo di soldi provenienti dal Fondo di risoluzione. Non verranno, dunque, utilizzati soldi pubblici, e nemmeno denaro dei correntisti, dal momento in cui cosiddetto bail in (la procedura attraverso la quale una banca può finanziare le proprie perdite con i soldi di clienti dal conto superiore ai 100mila euro) diverrà legittimo solo a partire da gennaio. La Commissione europea ha già avuto modo di approvare il piano varato dal Governo.

 

 

Il piano di salvataggio. Per poter arginare la crisi di questi quattro istituti, il Governo ha deciso di separare la parte sana dei loro bilanci, che non avrebbe senso modificare, da quella in crisi, che coinvolge asset societari in eccessiva sofferenza. La prima verrà reimpostata attraverso la creazione di una nuova struttura societaria, che formalmente prevederà solo un piccolo cambio nominativo della banca (Nuova Banca Marche, Nuova Carichieti eccetera); per i correntisti non cambierà nulla.

Rispetto invece alla seconda, che coinvolge fondamentalmente prestiti in sofferenza, ovvero con debitori estremamente morosi, entrerà in gioco il Fondo di risoluzione, un apposito bacino che ricomprende capitali di molti istituti di credito messi appositamente a disposizione per simili eventualità. Le quattro banche, dunque, verranno aiutate da soldi di altre banche.

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Il totale di denaro che verrà utilizzato ammonta a circa 3,6 miliardi di euro, una cifra che poteva anche essere ben maggiore se non fosse stata presa la decisione di svalutare i prestiti in sofferenza in questione da 8,5 a 1,5 miliardi di euro; il restante dei 3,6 miliardi verrà utilizzato per ricapitalizzare le nuove società createsi. Questi soldi prelevati dal Fondo sono stati anticipati, per la maggior parte, da Intesa San Paolo, Unicredit e Ubi, che recupereranno poi il denaro con tassi conformi al mercato e a scadenza massima di 18 mesi. Da un punto di vista operativo, i prestiti in sofferenza saranno venduti a specialisti nel recupero crediti o gestiti direttamente per recuperarli al meglio. Si stima che si potrà riuscire a riottenere circa il 18 percento del valore nominale dell'importo complessivo.

Terminata la fase di recupero, le parti in crisi verranno smantellate. Una soluzione, dunque, che non costerà nulla alle casse pubbliche e che non comporterà alcun disagio per i correntisti, come ha espressamente dichiarato il Governo: «La soluzione adottata assicura la continuità operativa delle banche e il loro risanamento, nell'interesse dei territori in cui esse sono insediate; tutela i risparmi di famiglie e imprese investiti nella forma di depositi, conti correnti e obbligazioni ordinarie, preserva tutti i rapporti di lavoro in essere, e non utilizza denaro pubblico».

 

 

L'origine comune di queste quattro crisi. Gli analisti concordano sul fatto che all'origine della crisi di tutte e quattro queste banche ci sia una gestione disinvolta, se non ai limiti dell'irresponsabilità, del credito. Già nel 2011, per esempio, la Banca d'Italia sanzionò Banca Marche per la mancanza di adeguati controlli interni nel momento di prendere decisioni circa i prestiti, che portarono nel 2012 all'erosione del capitale per 3,4 miliardi. Discorso analogo per Banca d'Etruria, che solo fra il 2011 e il 2013 ha visto aumentare di 600 milioni di euro i crediti deteriorati, per poi esplodere nel 2013 causando crisi per il 30 percento del proprio portafoglio. Anche la cassa di risparmio di Ferrara ha da fare del profondo mea culpa: l'origine della propria crisi deriva da due operazioni immobiliari compiute a Milano negli scorsi anni, entrambe collassate e generanti corpose perdite per l'istituto.

Una grande mancanza di attenzione nell'elargizione dei prestiti e nell'utilizzo, in termini di investimento, del credito, dunque. Non è un caso, peraltro, che i CdA di queste banche siano stati, negli ultimi tempi, delle vere e proprie giostre, su cui sono saliti e scesi in continuazione dirigenti diversi che non sono stati in grado di arginare questa patologica tendenza, o che addirittura l'hanno incoraggiata inseguendo improbabili guadagni.

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