Il punto sulle carni cancerogene dopo l'annuncio shock dell'OMS
Dopo giorni di indiscrezioni e settimane di pubblicazioni più o meno serie, il 26 ottobre l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha diffuso il proprio rapporto in cui si dice che il consumo di carne lavorata aumenta il rischio di contrarre il tumore al colon-retto, ma anche al pancreas e alla prostata. L’OMS ha aggiunto di essere in possesso di «prove non definitive» che indicherebbero come anche la carne rossa possa essere ritenuta cancerogena. I media hanno subito rilanciato la notizia, spesso con toni allarmistici, sottolineando come il consumo di carne lavorata sarebbe dunque da paragonare al vizio del fumo o al consumo di alcol, anche perché la stessa OMS ha ritenuto ci siano prove sufficienti per inserire la carne lavorata nel gruppo 1, quello in cui sono elencate le sostanze più dannose, della classificazione sugli agenti cancerogeni compilata dalla IARC, la divisione dell’OMS che si occupa di ricerca sul cancro.
Quali sono le carni incriminate? L’opinione pubblica, come da previsione, s’è divisa tra chi ritiene lo studio dell’OMS una semplice certificazione di ciò che già si sapeva ma non si voleva accettare, e chi invece accusa l’Organizzazione di voler seminare il panico per non meglio precisati “altri interessi”. Per questo motivo è fondamentale cercare di fare chiarezza sulla questione. La prima domanda da porsi, dunque, è: quali sono le tipologie di carni incriminate? Per carni rosse si intendono manzo, vitello, maiale, agnello, montone, cavallo e capra; per carni lavorate, invece, si intende quelle trattate attraverso processi industriali quali salatura, stagionatura, fermentazione e affumicazione, e dunque wurstel, prosciutti, salsicce e pancetta. Il consumo di questi due tipi di carni, però, non sarebbe “pericolosa” in egual maniera secondo l’OMS: mentre le carni lavorate, come detto, sono state inserite nel gruppo 1 delle sostanze più pericolose (al pari del tabacco e dell’alcol), la carne rossa fa invece parte del gruppo 2A, cioè un po’ meno pericolose. Perché questa differenza? Perché per quanto riguarda il secondo gruppo di carni, l’OMS stesso ammette di aver solo prove limitate del loro rapporto con il cancro.
È il Washington Post a spiegare il motivo per cui l’Organizzazione è così cauta quando si parla di “carni rosse cancerogene”: per questi temi gli studi pongono enormi problemi logistici, richiedendo il controllo, per lunghi anni, della dieta di migliaia di soggetti. Per diverse ragioni, fra cui reperire fondi e trovare soggetti disponibili a sottoporsi a questi studi, analisi del genere sono molto rare e gli scienziati utilizzano invece metodi meno diretti come gli studi epidemiologici (cioè fondamentalmente analisi di dati a disposizione). Nel caso delle carni rosse, come spiega Paolo Boffetta a Il Post, medico che ha lavorato per l’OMS in un gruppo di ricerca simile a quello che ha pubblicato il rapporto, «i dati non sono tremendamente solidi. Ma in questo caso le prove epidemiologiche sono molto concrete». Non si hanno dunque riscontri concreti, ma solo riscontri frutto dell’analisi di dati numerici e statistiche.
Fanno male come il fumo? Meno dubbi ci sarebbero, secondo i dati dell’OMS, sulla pericolosità del consumo di carne lavorata. Come detto, questa è stata indicata dall’Organizzazione cancerogena tanto quanto il fumo o l’alcol. Ma è proprio così? Mangiare una salsiccia è come fumare una sigaretta? In realtà no. Sebbene tabacco e carni lavorate siano entrambe del gruppo 1 delle sostanze più cancerogene realizzato dall’OMS, questa classificazione si limita a indicare come cancerogena una certa sostanza, senza esprimersi su quanto sia dannosa o meno la stessa. I giornalisti scientifici James Gallagher e Helen Briggs spiegano che mangiare un panino col bacon non equivale a fumare una sigaretta e anche l’epidemiologo Kurt Straif, che lavora per l’OMS, ha affermato che «per una persona normale, il rischio di sviluppare il cancro al colon a causa del consumo di carne lavorata rimane basso».
A dimostrarlo, una volta in più, sono i dati: secondo le stime del Global Burden of Disease Project, prese in considerazione dalla stessa OMS, circa 34mila morti per cancro seguivano una dieta caratterizzata da un alto consumo di carni lavorate mentre in 50mila casi la dieta era ricca di carni rosse. Confrontando questi numeri con quelli relativi ad altre sostanze, scopriamo, secondo la stessa fonte, che sono 1 milione i casi di morti per cancro tra i fumatori, 600mila quelli che consumavano alcol e 200mila quelli esposti a un alto tasso di inquinamento dell’aria. Differenze sostanziali.
Come possiamo ridurre i rischi? Nonostante tutte le informazioni fino ad ora riportate spengano gli allarmismi e sottolineino come l’OMS non ha fatto altro che confermare studi già effettuati in passato (la stessa AIRC richiama svariati e attendibili studi sul tema), è possibile che qualcuno resti preoccupato. Purtroppo però l’OMS non offre grandi risposte a queste preoccupazioni: l’Organizzazione infatti non dà indicazioni circa la quantità di carne consigliata per evitare pericoli. Indica, senza però dare alcuna certezza, che il consumo quotidiano di 50 grammi di carni lavorate può aumentare del 18 percento il rischio che compaia un cancro al colon-retto, mentre il consumo quotidiano di 100 grammi di carni rosse farebbe aumentare il rischio del 17 percento. In generale l’OMS ha semplicemente riscontrato che i rischi di tumori aumentano con l’aumentare del consumo di carne.
Se si vogliono diminuire i rischi, oltre a ridurre il consumo di carne rossa o lavorata settimanale (sostituendola con pesce o carne bianca), l’OMS consiglia di evitare metodi di cottura che prevedano il contatto diretto tra la carne e la fiamma, come il barbecue, perché l’alta temperatura può dare forma a dei composti che possono essere cancerogeni. Ma anche in questo caso l’Organizzazione non è riuscita a stabilire e chiarire quale sia il ruolo effettivo di questi composti nella comparsa del cancro. In sostanza l’OMS non si sbilancia e preferisce non indicare un metodo di cottura migliore rispetto a un altro.
Conclusioni (dobbiamo diventare vegetariani?). Cosa si può dedurre da tutto questo? Che dovremmo convertirci tutti a una dieta vegetariana? Se per Umberto Veronesi, vegetariano convinto e da anni in prima linea per promuovere una via alternativa alla carne, o per lo meno all'abuso, per prevenire la formazione del cancro, lo studio dell’OMS non è altro che la conferma di quanto da lui affermato da tempo («la via vegetale è l’unica» afferma il luminare), Coldiretti storce il naso e parla espressamente di «terrorismo», sottolineando come invece la «carne italiana è la più sana» e che dunque anche le lavorazioni industriali non porterebbero alle tragiche conseguenze ipotizzate dallo studio. In realtà è lo stesso report a sottolineare come anche le diete vegetariane presentino degli svantaggi. Gli stessi esperti che hanno realizzato lo studio (22 provenienti da 10 Paesi diversi) hanno ancora oggi opinioni diverse sulla pericolosità della carne e la pubblicazione dello stesso non è stata unanime. L’OMS quindi non invita all’abbandono della carne, ma a un suo consumo più ragionato e cosciente, a iniziare una dieta variegata, che comprenda anche pesce e carni bianche, oltre che carboidrati e verdure. Insomma, tanto rumore per una cosa che, francamente, gran parte di noi già sapevano. Buon appetito.