Il 43esimo Natale del don Gianni «Vedo un grande bisogno di Natale»

«Adesso devo andare, ci sono giù i bambini della seconda elementare del catechismo, hanno fatto un momento di preghiera in chiesa, poi mangiano il panettone». Don Gianni Carzaniga parla qui nella sua cucina, davanti al caffè. Parla del Natale. Il numero quarantatré da prete. Monsignor Carzaniga è parroco di Sant’Alessandro in Colonna, il cuore della città.
Don Gianni, sembra che la gente sia molto distratta, che pensi a ben altro in questi giorni, non alla nascita di Gesù.
«Guardi, lasciamo stare la polemica sul Natale consumista o buono per le vacanze e per i viaggi. È una questione ormai banale. Ci sono tante persone che vengono in chiesa in questi giorni e non lo fanno per abitudine o perché “si deve fare così”, come accadeva fino a mezzo secolo fa. Vengono perché cercano qualcosa. In questi giorni tante persone entrano in chiesa per confessarsi, io stesso mi siedo nel confessionale, incontro volti mai visti e mi meraviglio di questa fede. Persone che si affidano al Signore, attraverso di te e allora ti senti piccolo piccolo davanti alla grandezza di questa richiesta».
Vuole dire che il Natale non ha perso significato?
«Il Natale di oggi mi fa pensare a San Giuseppe. Lui è un protagonista del Natale, ma è defilato, persino marginale. È fondamentale, ma non appare. Accetta qualche cosa di incredibile, prima di tutto per amore di Maria. Resta al suo posto, sarà il padre di Gesù, lo aiuterà a crescere. Mi fa pensare alla gratuità, al dono semplice e discreto. Il Natale oggi è questo, per la Chiesa è senza sfarzo, non abbiamo vetrine in chiesa, niente da vendere».
Un tempo il Natale era diverso.
«Quando io sono diventato prete eravamo nei primi Anni Settanta, nel pieno della bufera della contestazione. Tutto era messo in crisi, tutto era messo in discussione, all’interno e all’esterno della Chiesa. Oggi la società è cambiata, oggi sembra prevalere l’indifferenza».
[Mons. Gianni Carzaniga è l'ultimo a destra]
Quarantatré natali da prete.
«Mi viene in mente il primo Natale da prete, davo una mano nella parrocchia dell’Alta Valle Brembana, a Santa Brigida, andavo anche a Cusio e Averara, faceva tanto freddo, c’era la neve. Tante persone emigrate tornavano in quei giorni dalla Francia, dalla Svizzera. Un altro Natale dei miei primi anni lo feci a Roma, nella parrocchia di San Basilio, una parrocchia popolare, con tanti immigrati dal Sud Italia, una realtà differente, un’esperienza forte».
Diceva che adesso c’è indifferenza.
«Adesso c’è la scelta. La società nel suo insieme è indifferente, corre dietro ai modelli del consumo, lo sappiamo. E così ci ritroviamo gli alberi di Natale nei centri commerciali già subito dopo i Morti. Ma le persone sono un’altra cosa».
Oggi comunque si parla di Natale laico, senza presepio, di un momento di vacanza, tutt’al più di famiglia.
«È vero, il Natale in senso religioso diventa marginale. Ma io penso al Natale di Betlemme e so che quello era davvero molto marginale. Il bambino nasce in un luogo poverissimo, in mezzo ai pastori. Per questo dico che non c’è da scandalizzarsi se la massa o i potenti pensano ad altro. Il bambino comunque nasce, per le persone di buona volontà. Io penso che il messaggio del Natale sia come la figura del prete: oggi ce n’è bisogno di più di ieri. Perché dice qualcosa di semplice e meraviglioso: comunque Dio si è messo accanto all’uomo, cammina con l’uomo, soffre anche con noi e in qualche modo sempre ci è vicino. Anche se non lo vogliamo».
Anche se non lo vogliamo.
«Sì. Il Natale è un dono, è gratuito, è per tutti».
C’è chi non vuole il presepe nelle scuole, nei luoghi pubblici.
«Per non offendere chi professa altre fedi. Ma le dico una cosa: i musulmani che conosco sono molto contenti... Continua