I 60 euro più preziosi al mondo L'elemosina dei clochard ai migranti

Sessanta euro. È quanto il cardinal Cesare Nosiglia si è visto recapitare in una busta nel suo ufficio di arcivescovo di Torino. Sin qui niente di inconsueto, tanto più che Nosiglia tra i vescovi italiani è stato uno dei più solerti a raccogliere l'invito del papa a aiutare e accogliere i migranti. I suoi appelli alle parrocchie torinesi sono stati tempestivi e abbastanza decisi. Quindi è del tutto nell'ordine delle cose che chi non può e non se la senta di aprire le porte, ricorra allo strumento più semplice della solidarietà economica.
Ma quella busta aveva qualcosa di non consueto. Pesava tantissimo, perché i sessanta euro non erano leggere banconote ma decine e decine di monete, di ogni taglia con netta prevalenza delle taglie piccole. Da dove venivano? Chi le aveva portate? Nella lettera di accompagnamento c'era solo la firma con un nome senza cognome, perché si desiderava che quella piccola donazione restasse anonima. Ma quando il cardinale ha capito di chi si trattava non ha potuto trattenere le lacrime di commozione. E neppure la notizia.
Chi aveva donato quei soldi per aiutare i migranti era un gruppo di clochard, noti in curia perché si trovano spesso ad una mensa della città. Nella lettera scrivevano di aver sentito l'appello dell'arcivescovo in tv e di aver pensato a quel gesto non potendo evidentemente dare un tetto, loro che non ne hanno uno neanche per sé. «Sono arrivati i soldi da alcuni senza fissa dimora che hanno girato parte delle elemosine ricevute!», ha scritto l'arcivescovo in una lettera alle famiglie della diocesi, per ringraziare delle risposte generose al suo appello all'accoglienza.
Sessanta euro, raccolti con chissà quale fatica in un momento come questo, in cui è difficile strappare una moneta di aiuto alle persone e in cui la concorrenza di tanti poveri costretti all'elemosina è tristemente alta. Sessanta euro che valgono sessantamila volte tanto, come l'obolo della povera vedova nel Vangelo di San Marco, che nel tempio di Gerusalemme colpì Gesù per l'umiltà con cui si privò dei due spiccioli che aveva, buttandoli nel tesoro, mentre i ricchi passavano facendo risuonare le loro monete pesanti con aria un po' tronfia. «Tutti hanno dato del loro superfluo, essa, invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere», commenta Gesù, con un realismo che mette al bando ogni ipocrisia.
Privarsi del necessario. È un'antica storia che non riguarda solo santi, eremiti. Riguarda anche la gente normale. E perché ci si priva del necessario? In virtù di quale speranza? C'è un fantastico passo dei Promessi sposi che spiega la logica anche economica di questa generosità. È il momento in cui Renzo, passato il confine, trova una donna con il suo bambino, in condizioni di povertà disperata, fuori dalla porta dell'osteria dove ha mangiato. Non ha quasi più monete in tasca, ma con uno slancio decide di privarsi di quelle ultime che gli rimanevano per darle a quella mamma. Il ragionamento che Manzoni gli attribuisce è uno di quei ragionamenti che dicono della grandezza di questo romanzo. «Pensò Renzo che se la Provvidenza aveva fatto sì di far trovare lui sulla strada di quella donna bisognosa di tutto, voleva dir che la Provvidenza ha una sua logica di cui è conveniente fidarsi. E che quindi se la sarebbe certamente ritrovata sulla sua strada, pronta ad aiutarlo, al primo bisogno».
Questo non è sentimentalismo, è logica economica alternativa a quella corrente. La imparassimo di più saremmo tutti più felici...