Il via ad Apeldoorn, Olanda

Ecco perché, nonostante tutto, val la pena seguire il Giro d'Italia

Ecco perché, nonostante tutto, val la pena seguire il Giro d'Italia
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Da oggi, come dice sempre Felice Gimondi con quella sua invidiabile semplicità, «poche chiacchiere e menare». Parte l'edizione numero 99 del Giro d'Italia, la corsa più dura del mondo nel Paese più bello del mondo. E se qualcuno ha da obiettare, quella è la porta. Perché bisogna uscire fuori, andare per strada e vedere cos'è il ciclismo, cos'è la fatica, o magari, come ha detto una volta don Cesare Angelini, bisognerà pur farsi un'idea di cos'è la bicicletta: «L'immagine visibile del vento». Andate per strada a vedere passare la carovana rosa che scivola davanti agli occhi come una folata di vento all'improvviso, andate ad applaudire i corridori e a fargli sentire che siete con loro per un attimo e fino al traguardo. Andate a tifare Vincenzo Nibali, il nostro campione, che un Giro lo ha già vinto nel 2013 ma vorrebbe tanto ripetersi, «perché sono carico come quella volta lì e perché sentivo il bisogno di tornare», anche se non sarà affatto facile. Andate a farvi una bella scampagnata sul Colle dell'Agnello, a 2.744 metri, la punta più alta di questa edizione; oppure andate sul Colle della Lombarda, l'ultima grande fatica prima dell'arrivo a Torino. Il ciclismo è uno sport da respirare.

 

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Perché vale ancora la pena mettersi il k-way e sfidare la pioggia in montagna per vedere i corridori tagliare il traguardo? Perché nonostante tutto quel marcio che vogliono sempre appiccicargli addosso, il ciclismo (e soprattutto il Giro d'Italia) ha ancora un senso? Forse perché è rimasto uno sport semplice, immediato, che unisce la gente. Magari tre settimane e 21 tappe non saranno sufficienti a unire il Paese, anche i tempi di Bartali che salvò la Nazione dalla guerra civile sono passati da un pezzo. Ma il valore simbolico del ciclismo è ancora lì a dirci quanto conti vivere eventi come questo, e portarli nelle città e nei paesini, nei posti dove l'euforia troppo spesso arriva soltanto con la tv o sui social network. La mediaticità ha la sua importanza, è vero. L'anno scorso, per esempio, seguirono la tappa di Sestriere con il Colle delle Finestre oltre 3,5 milioni di spettatori. Ma il bello del ciclismo è la sua verità di strada, da poter raccontare e vedere, da poter toccare con gli occhi.

 

 

A spiegare il senso del Giro è stato, come al solito, Vincenzo Nibali: «Del Giro d'Italia mi piace la gente che ti aspetta per ore, per vederti solo pochi secondi. Mi siete mancati…». Qualche volta gli organizzatori di questi appuntamenti così importanti se lo dimenticano, e con la scusa di portare un po' di Italia da un'altra parte la corsa la fanno partire da più lontano, questa volta dall'Olanda. Poi però si arriverà qui, sulle strade di quest'Italia che certi giorni sanguina per la troppa bellezza gestita male o calpestata. In questa edizione, per esempio, lo spettacolo passerà tra i vigneti del Chianti, per Rieti e il Reatino, e così via: l'elenco è piuttosto lungo. Anche di questo si occupa il ciclismo, di (ri)mettere in luce zone grigie, di rispolverare paesaggi dimenticati o mai curati con il giusto amore, o semplicemente di godere dei posti più belli del mondo per offrire alla gente l'opportunità di una grande bellezza. Attraverso i volti dei corridori e loro fatica. Attraverso uno sport che è una carovana. A cui aggrapparci per tornare in strada.

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