Si ricorda il 15 novembre

Alberto, un maestro santo e matto che aprì la strada a Galileo

Alberto, un maestro santo e matto che aprì la strada a Galileo
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C’è una ragione di più, cantava Ornella Vanoni ai suoi verdi anni. C’è una ragione di più, sempre una di più - come si dice: si fa credito domani - per ricordarsi di Alberto di Colonia, o sant’Alberto Magno, il Doctor Universalis.

La prima è che, morto il 15 novembre 1280 (Dante aveva 15 anni) ha dovuto aspettare il 1931 per essere elevato alla gloria degli altari. Ossia per poter scrivere “san” prima del nome nei biglietti da visita. Ma è sempre stato molto paziente, il nostro amico. Sapeva come va il mondo.

La seconda è che è stato il primo a cogliere il genio del suo confratello più giovane (erano entrambi domenicani) e terrone, Tommaso d’Aquino. Saputo che i compagni bulletti di quest’ultimo lo chiamavano il "il bue muto" (era un po’ ciccione, Tommaso, e non parlava molto) li fermò subito dicendo: «Ecco qua: voi lo chiamate “il bue muto!” E allora io vi dico che quando questo bue muggirà, i suoi muggiti si udranno da un'estremità all'altra della terra!». Voleva molto bene al suo discepolo. Quando questi morì, nel 1274, durante il viaggio che doveva portarlo al Secondo Concilio di Lione, il vecchio maestro pianse dicendo che "La luce della Chiesa" si era spenta. Dopo di che passò tre anni bruttissimi, dai quali si risollevò d’un tratto quando seppe che l’arcivescovo di Parigi, Étienne Templier - che Dio lo abbia in gloria - intendeva condannare la teologia di Tommaso perché la riteneva fuori dalla linea ufficiale della Chiesa. Aveva quasi 70 anni (di allora. Era nato nel 1206) ma non ci fu niente da fare: Alberto andò a Parigi e difese Tommaso. Per fortuna.

Tre anni dopo cominciarono a manifestarsi i primi vuoti di memoria - la prima volta durante un intervento in pubblico - e la sua salute andò peggiorando fin quando, nel 1280, si ricongiunse al suo discepolo preferito. È stato un grande maestro, in poche parole.

La terza ragione è che era un matto da legare. Perché non era solo un vescovo e un filosofo (il più grande filosofo tedesco del medioevo): fu anche uno scienziato. Mise in piedi un laboratorio vero e proprio, dove faceva esperimenti di ogni genere che gli valsero la fama di fuori di testa. Si occupò di animali e cercò di spiegare, per esempio (è la famosa 13 quaestio del trattato De Animalibus): Quare omnia animalia sunt multi strepitus in coitu praeter hominem. Si chiede - traduciamo - come mai tutti gli animali fanno un gran baccano quando sono impegnati nell’accoppiamento. Ad esempio il gallo, quando si accinge a saltare sulla gallina, canta, salta, e poi continua a borbottare (come pure il cavallo, e tutti gli altri). L’uomo invece, zitto zitto, arma il suo arnese come dovesse andare alla guerra, e si unisce alla donna. (Quaeritur, quare omnia animalia sunt multi strepitus in coitu praeter hominem. Unde gallus, cum debet supponere, cantat et saltat et bombizat, et similiter equus et alia. Homo vero tacenter et occulte armat tamquam ad bellum priapum et coit.)

Le spiegazioni - una più ingegnosa dell’altra - non abbiamo modo di riportarle qui. Qui possiamo solo affermare che Alberto era uno che si interessava di tutto.

Tanto è vero - e questa è la vera “ragione di più” per ricordarlo - che molti anni dopo la sua morte (siamo oramai nel XX secolo) un grande scienziato francese - e per sua sfortuna cattolico - Pierre Maurice Marie Duhem (1861-1916) cominciò a pensare - proprio studiando il nostro sant’Alberto - che forse erano stati un po’ troppo precipitosi coloro che vollero datare all’epoca di Newton e Galileo la nascita della scienza moderna. Pierre Duhem fu un grande fisico, chimico, storico e filosofo della scienza. É uno dei maggiori studiosi di Leonardo da Vinci. Ma è soprattutto l’autore della monumentale Le Système du monde. Histoire des doctrines cosmologiques, de Platon à Copernic, (Il Sistema del mondo. Storia delle dottrine cosmologiche da Platone al Rinascimento), una vera e propria enciclopedia in dieci volumi (gli ultimi usciti postumi) nella quale sostiene che il progresso scientifico non va avanti per salti e per rotture, ma procede come un continuum, per millimetriche variazioni. In questa ipotesi sottolinea il grande ruolo che nella scienza svolse il Medio Evo prima dell’entrata in gioco della scienza moderna. (vedi Pierrre Duhem, in Wikipédia France). E, principalmente, Duhem rivaluta la scolastica, ossia il lavoro di riflessione condotto dall’Università di Parigi. Che vuol dire, fra l’altro, sant’Alberto e il suo discepolo.

Dunque: viva sant’Alberto di Colonia. E grazie per aver aspettato tanto. Lo avessero dichiarato santo prima, forse non ne avremmo capito la grandezza come, invece, possiamo fare oggi.

 

 

 

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