All'ospedale di Alzano c'era un prete tra gli eroi. Il grazie di medici e infermieri
di Angela Clerici
Forse non era mai successo che infermieri e medici di un ospedale scrivessero ai giornali, al vescovo, persino al Papa per dire quanto il cappellano dell’ospedale li avesse aiutati, quanto fosse stato vicino a loro e agli ammalati. E allora vale la pena di conoscerlo questo prete, questo don Daniele Bravo, curato di Alzano Lombardo, che vive nell’ospedale di Alzano e da qui non se ne è mai andato, neppure quando la barca stava per affondare. Anzi. Si è tirato su il risvolto dei pantaloni e le maniche e anche lui si è messo con il secchio a buttare fuori acqua.
Siamo andati all’ospedale di Alzano per parlare con lui, ma don Daniele è la persona più schiva che si possa conoscere. Non vuole parlare, non vuole dire niente se non che ha fatto quello che gli sembrava giusto fare. «Ho fatto quello che pensavo fosse giusto fare - ha detto e ripetuto con un sorriso. - Non voglio apparire, non ho niente da aggiungere, era giusto essere così, per me. È sufficiente. Io vi ringrazio per questa possibilità che mi date di commentare, di spiegare, ma davvero non me la sento. Grazie comunque».
Questo è quello che don Daniele ha detto, in questo ospedale che il virus ha martoriato, dove addirittura il virus si è annidato in quella fine di febbraio per poi esplodere tragicamente in tutta la valle. Ospedale che è stato nell’occhio del ciclone, che poi è stato trasformato in una struttura interamente dedicata ai malati di Covid-19. Via la medicina, via la traumatologia, via la ginecologia. Soltanto Covid-19. Con i traumatologi trasformati in internisti e infettivologi.
Don Daniele preferisce non parlare, ma medici e infermieri invece non hanno remore, anzi. Dice l’infermiera Lisa Valoti, caposala della Ginecologia e Ostetricia: «Per noi don Daniele è stato il punto di riferimento, nelle giornate più difficili, nei momenti più bui, lui ci è restato accanto, sempre. Siamo arrivati fino a cento pazienti Covid nel nostro ospedale, abbiamo avuto momenti in cui eravamo disorientati, persi. Lui era lì accanto a noi, a spaccarsi le ossa con noi, senza contare le ore.
Abbiamo dovuto trasformare l’ospedale, le camere, creare percorsi, zone filtro. I parenti non potevano entrare, nessuno poteva aiutare, dovevamo fare tutto, anche imboccare i pazienti. Un giorno, in Ginecologia siamo passati da dieci a ventitré posti letto per malati Covid. Don Daniele era lì con noi a spostare i letti e gli ammalati, tutto bardato, come un infermiere. A un certo punto è arrivata una coppia di coniugi anziani, ma la signora non voleva stare nella camera con il marito; questo per noi significava un ulteriore spostamento, un problema. Don Daniele è rimasto a parlare con la signora e pian piano l’ha convinta che era una soluzione giusta. Alla seconda settimana eravamo davvero in crisi, ricordo una sera che eravamo sull'orlo del collasso, lui ci ha invitati ad andare nella saletta medica, lì abbiamo pregato insieme tutti e lui ci ha benedetto. E siamo ripartiti. Io non sono una che va in chiesa tanto, però in quei giorni ho pregato, ho pregato molto e questo mi ha dato forza».
Poi anche Lisa si è ammalata di Coronavirus, è rimasta a casa. Per fortuna la malattia non si è manifestata in forma grave e dopo una manciata di giorni i tamponi erano negativi. «Sono tornata il 30 marzo e ho rivisto don Daniele, lui mi ha sempre dato un senso di serenità, gli ho detto “Che bello rivederti, don Daniele!”. L’ho rivisto in prima linea, come sempre, si è messo anche a fare la barba e a tagliare i capelli dei pazienti... di tutto, ha fatto di tutto...».