Il campionato in Groenlandia che dura solo una settimana
Il rettangolo di gioco ha poco a che vedere col verde dei più sontuosi stadi europei, questo sebbene si trovi in un paese che quel colore ce l’ha iscritto nel suo nome, Groenlandia (“Grønland”, “terra verde” in danese). D’altronde, qui la neve copre ogni cosa per almeno 9 mesi all’anno, e pensare che l’erba possa crescere in fretta dentro allo stadio è una pretesa che nessuno ha. Nonostante questo a Nuuk, la capitale della grande isola artica, si gioca a calcio, sport che catalizza amore e attenzione tutte concentrate in quel fazzoletto di sabbia e ghiaia, circondato da rocce e colline che fungono da tribune.
Basterebbe l’immagine di questo stadio per far capire quanto singolare sia il football praticato in Groenlandia, terra che conta sì solo 60mila abitanti ma, al tempo stesso, gode di almeno 5mila praticanti calciatori, 1 su 10 abitanti. Il campionato locale ha data antica (il primo fu giocato negli anni Cinquanta), vede tra gli sponsor addirittura la Coca Cola, ed è un gioiello di organizzazione: si gioca solo d’estate, con un torneo suddiviso in tre parti. Prima c’è la fase locale, poi regionale e infine nazionale, struttura che prova ad ovviare la mancanza di strade e collegamenti interni all’isola, dove la gente viaggia solo con traghetti e aerei, con costi ovviamente alti. Eppure, tutto ciò non scalfisce l’amore di questa terra per il calcio: per la fase finale del torneo, che dura solo una settimana, la tv nazionale trasmette tutte le partite, e così anche chi sta a centinaia di chilometri di distanza può seguire quanto accade nella capitale Nuuk.
È così che sono nati alcuni veri e propri eroi sportivi, cresciuti in magliette in lana pesante e pantaloni lunghi sotto ai calzoncini. Uno su tutti è arcinoto anche in Europa: si chiama Jesper Grønkjaer, ha giocato anche nell’Ajax e nel Chelsea, e vanta più di 80 presenze con la nazionale danese da cui si è ritirato solo pochi anni fa. La sua storia sportiva è partita proprio da questi campi artici e ghiaiosi, da dove si mise in luce e fu prelevato dai danesi dell’Aalborg. L’idolo di oggi, invece, si chiama Niklas Kreutzmann, pure lui finito a giocare nel vecchio continente: il terzino 34enne non è riuscito però ad andare più in là dell’Aarhus Fremad, squadra che gioca nella terza serie danese. Eppure, in Groenlandia è un mezzo eroe, un altro che ce l’ha fatta a costruirsi una carriera da calciatore pur giocando poche settimane all’anno. Anche perché, da queste parti, in molti hanno voglia di andarsene: troppo dura la vita, alti i tassi di suicidio. Chi riesce a volare in Europa è un fortunato, specie se lo fa giocando a pallone.
Ma il calcio in Groenlandia non è solo club: c’è pure una nazionale, di cui Kreutzmann è capitano e giocatore con più presenze. La federazione non è però tra quelle affiliate alla Fifa, e per tanto non può giocare gare di qualificazione a Mondiali o Europei. Le manca il riconoscimento dell’Onu, ma soprattutto le manca un campo regolamentare. Lo stadio di Nuuk, quello per intenderci che ha una collina come tribuna, ovviamente non è a norma, e la struttura che nel 2008 fu costruita a Qaqortoq, città dell’estremo sud, si è rivelata non avere le misure necessarie. Per questo non le resta che partecipare a tornei per nazioni non riconosciute, come la Fifi Wild Cup, dove nel 2006 rimediò due sconfitte contro Zanzibar e Cipro Nord. Qualche anno fa la Groenlandia si propose anche come organizzatrice per questo genere di competizione, ma alla fine la proposta naufragò, complice la mancanza di voglia di tante squadre a venire a giocare in questi campi di ghiaia.