Una casa tutta... blu ad Azzano e i suoi quattro ospiti speciali
Nella loro abitazione di via Vittorio Veneto 17, Tina Amboni e Paolo Scaruffi ospitano da otto mesi un gruppo di ragazzi molto speciali. C'è chi prepara la tavola, chi cucina, chi stende il bucato, chi riordina. Tutti condividono la stessa fragilità: l'autismo. Con il loro impegno quotidiano riescono però a sentirsi utili, realizzati, ad acquistare autostima. Il progetto di co-housing sociale che questa coppia di Azzano ha deciso di mettere in campo, con la collaborazione della Fondazione Giovanni XXIII di Valbrembo, si chiama "Abitare il blu". Un colore scelto non a caso visto che è il simbolo dell’autismo. Ma è anche la tonalità preferita di Gianni, il figlio ventiduenne di Tina e Paolo, un ragazzo autistico dotato di grande sensibilità e con una forte propensione per l'arte: all’età di cinque anni aveva realizzato il suo primo dipinto utilizzando tutte le sfumature di questa tinta.
«Il nostro progetto si è avviato nel giugno 2018 – racconta Tina Amboni –. Si tratta di uno spazio abitativo dove alcuni giovani autistici sperimentano il primo distacco dalla famiglia e la convivenza con altre persone con lo scopo di sviluppare alcune autonomie possibili, ma soprattutto di costruire relazioni nuove e stimolanti. Questi due aspetti, che possono sembrare scontati per le persone normodotate, si trasformano in grandi obiettivi e traguardi per le persone autistiche che mostrano forti difficoltà ad affrontare i cambiamenti». La casa-famiglia ospita in totale quattro ragazzi che a turno usufruiscono di momenti serali e notturni accompagnati da un operatore esperto. Per ora il servizio offre due momenti settimanali, con l’auspicio di un ampliamento in futuro, ma sempre nel rispetto dei tempi evolutivi di ogni ragazzo. «Abbiamo affidato la gestione alla Fondazione Giovanni XXIII di Valbrembo, una realtà che da anni opera nel campo dell’autismo mettendo al centro ogni singola persona con le sue peculiarità e i suoi bisogni – prosegue Tina –. Ci riteniamo soddisfatti del metodo di lavoro applicato dalla fondazione, che non ha lasciato nulla al caso ma ha posto grande attenzione nell’individuare i fruitori del progetto, valutare la compatibilità degli utenti tra di loro e soprattutto garantire, almeno per il primo anno, la figura stabile di un operatore che conosce bene gli utenti e le loro caratteristiche. Ma la risposta più interessante su questo progetto ce la danno i ragazzi stessi, che percepiamo sereni e desiderosi di ritornare nella casa. Anche nostro figlio Gianni con grande sorpresa sta manifestando evidenti progressi nel campo delle relazioni e dell’autonomia».
Le caratteristiche principali per una diagnosi di autismo sono deficit nella comunicazione e nella relazione con comportamenti ripetitivi e stereotipati. È una patologia impegnativa che negli ultimi vent’anni ha avuto un aumento esponenziale. «La formazione e gli stimoli che riceviamo dal servizio di consulenza della fondazione – spiega la coppia – ci hanno convinti che è bene approcciarsi per tempo a un percorso di distacco dalla famiglia, anche solo parziale. Mentre per i giovani normodotati avviene in modo naturale, per i nostri ragazzi con autonomie limitate e fragilità elevate questo percorso va programmato e monitorato con modi e tempi più lunghi». L’emanazione della legge del 2016 del "Dopo di noi" è diventata per i genitori uno spiraglio concreto per provare a mettere in campo nuove iniziative. La normativa contempla anche la possibilità per un disabile grave di continuare a vivere nella propria abitazione d’origine e nel proprio territorio. Da qui è nata l’idea di Tina e Gianni, condivisa con la fondazione, di mettere a disposizione una parte della loro abitazione per trasformarla in appartamento protetto. «"Abitare il blu" – conclude – ha ricevuto un finanziamento dai fondi stanziati con la legge del “Dopo di noi”, che ricordiamo ha avuto tra i grandi promotori la nostra concittadina onorevole Elena Carnevali. A lei va un doveroso ringraziamento e un appello a mantenere vivo il suo sostegno affinché il “Dopo di noi” divenga nel prossimo futuro una misura di intervento consolidata e con essa si realizzi il sogno per le persone disabili di appartenere alla loro comunità».