Come nacque «Vita spericolata»
Lascia il palco mentre il pubblico si spacca ugole e cuore sulle note di Albachiara, mentre i riff di chitarra fanno esplodere San Siro ricolmo di gente, mentre fuochi d’artificio e coriandoli rendono il suo ennesimo concerto l'ennesima festa, l’ennesima consacrazione dell’unico vero rocker italiano. Vasco Rossi ha concluso il 10 luglio a Milano le sette date del Live Kom 014, la riedizione, oramai annualmente attesa dai suoi fan, di concerti nei più grandi stadi italiani. Tre date all’Olimpico di Roma e ben quattro a San Siro, oltre 403 mila spettatori paganti, circa 20 milioni di incasso complessivo: Vasco Rossi è sempre più amato e desiderato, anche perché i suoi concerti sono uno spettacolo per gli occhi. Il cantautore di Zocca si è costruito, lungo una carriera oramai quasi quarantennale, un successo quasi senza precedenti nel panorama musicale italiano. Marinella Venegoni, giornalista de «La Stampa», l’ha incontrato ed ha ripercorso insieme a lui il punto di svolta reale della sua carriera: la pubblicazione ed il successo ottenuto con la canzone simbolo della sua arte e della sua vita, Vita Spericolata.
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Una canzone che racchiude la sua filosofia. I concerti si chiudono con Albachiara, ma quando attaccano le note di Vita Spericolata lo stadio diventa una bolgia. Tutti sanno che in quelle strofe c’è Vasco, la sua idea di vita, le sofferenze di quegli anni e gli ingredienti che gli hanno permesso di rialzarsi. «Nel 1983 erano cinque anni che lavoravo, ma senza casa, senza un disco. Facevo solo concerti, vivevamo on the road. Avevo tagliato i ponti con tutto, ero collassato in mezzo ad un oceano». Poi il suo agente, Guido Elmi, gli porta la traccia musicale di un giovane bassista rock bolognese, Tullio Ferro: «Era bellissima, la musica. Sono trasalito ed ho cominciato a collaborare». Ma il testo non arrivò subito, ci volle del tempo, ci vollero mesi. «Un giorno che eravamo a suonare in Sardegna, si è messo a piovere. Sono salito in macchina e ho messo il nastro. E ho pensato: “Voglio una vita...”» e da lì nacque una canzone storica. Una canzone in cui è racchiuso tutto Vasco, il Vasco che vuole una vita maleducata, «nel senso di non educata secondo i vostri parametri»; una vita spericolata, «nel senso di vivere pericolosamente, come diceva Nietzsche»; una vita piena di guai, «una vita non garantita, senza il lavoro sicuro come si aveva allora». Una vita di quelle che non dormi mai, «perché ero sempre sveglissimo, sapevo dove volevo e dove non volevo andare»; una vita come quella dei film, dove «non ci sono mai le parti monotone della giornata, solo quelle essenziali»; una vita come Steve McQueen, «il mito della mia generazione: bello, dannato e spericolato. Lui sì, James Dean no. Con McQueen c’era solo il piacere, non le macerazioni di James Dean». Vita Spericolata è tutta in questa spiegazione, passaggio per passaggio.
Una vita veramente spericolata. Con Vita Spericolata, Vasco Rossi partecipa a Sanremo 1983, anno in cui la canzone è stata pubblicata. Fu la sua seconda ed ultima partecipazione al Festival della canzone italiana: la critica fu durissima, prima della fine del pezzo lasciò il palco con il playback della sua voce che concludeva la canzone. In quegli anni veniva tacciato di essere un “ebete, cattivo e drogato”. La canzone arrivò penultima, ma l’Italia si innamorò di quel ragazzo che cantava ciò che vedeva e viveva, senza filtri. All’inizio del 1984 la polizia lo arrestò per detenzione e spaccio di cocaina. Restò nel carcere di Rocca Costanza a Pesaro per 22 giorni, giorni duri ma che lo aiutarono a liberarsi da alcune delle sue dipendenze, come da quella per le anfetamine. Il processo lo scagionò da tutte le accuse, ma per Vasco Rossi fu durissima: «Ho vissuto i 22 giorni di galera come la crocifissione, sono stato 2, 3 anni senza scrivere». Aveva spinto troppo sull’acceleratore della vita. Scrivendo quella canzone, perfetta sintesi della sua vita e del suo pensiero, Vasco Rossi viveva la sensazione di aver dato tutto quello che poteva. Del resto, come afferma lui stesso nell’intervista, a Vita Spericolata ci ha lavorato «33 anni, quelli che avevo quando l’ho scritta». Oggi, 31 anni dopo, resta un bellissimo manifesto in note, che come ogni manifesto racchiude una storia sua, ma non tutta l’arte di chi l’ha scritto.