Comprate esperienze, non oggetti Sono quelle a renderci felici davvero

Quest'articolo è la traduzione di un pezzo di James Hamblin apparso su The Atlantic.
Il 47 percento del tempo, la nostra mente vaga. Vaga circa un terzo del tempo mentre una persona legge, parla con altre persone, o si prende cura dei bambini. Vaga il 10 percento del tempo addirittura durante il sesso. E ciò su cui si sofferma, secondo lo psicologo Matthew Killingsworth, non la fa stare bene. Durante la sua formazione ad Harvard, Killingsworth ha raccolto questi numeri e creato un caso scientifico per ogni cliché che riguardasse il concetto “godersi/viversi il momento”. In un saggio del 2010 pubblicato su Science, scritto a quattro mani con il professore di psicologia Daniel Gilbert, si arriva alla definizione che «una mente che si distrae dalla realtà è una mente infelice».
Per Killingsworth, la felicità è contenuta nelle esperienze. Nulla di materiale ha un suo intrinseco valore, qualsiasi promessa di felicità contenga. La soddisfazione del possedere un oggetto non viene necessariamente, tra l’altro, nel momento in cui lo acquistiamo. Si manifesta anche come anticipazione o nostalgia. In genere, comunque, il risultato del cervello umano di contemplare eventi passati e futuri a grande, noiosa distanza ha – dicono questi psicologi – portato a uno spreco di felicità. Le menti tendono a vagare in luoghi scuri, non allegri. A meno che quella mente non abbia qualcosa di emozionante da aspettare o di dolce da ricordare.
Durante gli ultimi dieci anni, tante ricerche psicologiche hanno mostrato che le esperienze portano alle persone molta più felicità di quanto faccia il possesso. L’idea che l’acquisizione di esperienze sia più soddisfacente del possesso materiale è stata portata avanti dal professore di psicologia della Cornell Thomas Gilovich. Dal 2003, Gilovich sta cercando di visualizzare esattamente come e perché vivere esperienze sia tanto meglio rispetto a possedere beni materiali. Sulla rivista Psychological Science, Gilovich e Killingsworth, assieme al dottorando Amit Kumar, hanno cercato di approfondire perché spendere soldi per esperienze «procura una più durevole felicità». Hanno studiato, nello specifico, l’attesa come conduttore di quella felicità. Ovvero se il benefit di spendere soldi in un’esperienza maturi prima che l’acquisizione dell’esperienza avvenga, oltre che dopo. E sì, è così. Le aquisizioni di esperienze, come viaggi, concerti, film, etc., tendono a surclassare il possesso materiale perché l’utilità di esperire qualcosa inizia davvero a prendere vita prima che uno ci si trovi immerso.
E poi, aspettare un’esperienza dà più felicità e contentezza che aspettare per un bene materiale (e più piacere, anche). Anche perché aspettare di possedere qualcosa è più carico di impazienza che di attesa. «Pensare di stare aspettando per un pranzo delizioso in un bel ristorante o di non vedere l’ora di una vacanza», Kumar spiega, «è molto diverso dall’aspettare per, ad esempio, il tuo iPhone pre-ordinato. O dal notare come i due giorni di spedizione rapida in Amazon Prime non siano poi così rapidi».
La priorità di Gilovich era mostrare che le esperienze rendono le persone più felici anche perché rendono meno possibile il confronto con quelle degli altri. Gilbert e gli altri hanno notato che molte persone sono insicure sul fatto di volere o meno un salario alto che sia più basso di quello degli altri, o un salario più basso che sia più alto di quello degli altri. Invece, con il bene esperienziale di una vacanza, quel dilemma non si pone. Vorresti fare due settimane di vacanza mentre gli altri ne fanno una? O quattro mentre gli altri ne fanno otto? Chiunque sceglierebbe quattro settimane senza esitare.
L’acquisizione di esperienze ha poi più associazione con l’identità, la connessione e il comportamento sociale. Guardandosi indietro e concentrandosi su ciò che si è vissuto e avuto, le esperienze rendono le persone più felici del possesso. E ciò è legato al fatto che se vivi un’esperienza, come una vacanza, accade e poi passa; mentre se si compra una cosa tangibile, come un divano, ce l’avrai di certo almeno per un tempo lungo. E, attualmente, dopo un periodo di entusiasmo iniziale, si sviluppa indifferenza nei confronti di un oggetto a cui si ècostantemente esposti. iPhone, vestiti, divani, etc. diventano semplice sfondo. Si rovinano o diventano obsoleti. È la fugacità delle acquisizioni esperienziali invece a far sì che le amiamo. E questo anche perché non ci stanno attorno abbastanza da diventare imperfette, o, se esse sono imperfette, le nostre memorie le addolsciscono col tempo. E anche una brutta esperienza diventa una bella storia da raccontare.
Quando piove durante una vacanza sulla spiaggia, spiega Kumar, «le persone diranno, beh, sai, siamo rimasti insieme e abbiamo giocato a giochi da tavola ed è stata una bellissima esperienza familiare». Anche se quel momento era negativo, diventa positivo dopo il fatto. Questo è molto più difficile che accada con i beni materiali, perché stanno esattamente sempre di fronte a te. «Quando il mio Macbook mi mostra la sua ruota arcobaleno non posso dire, beh, che bello, il mio computer non sta funzionando! Che bello, il mio computer e io stiamo passando più tempo insieme perché lui sta lavorando più lentamente. La domanda allora è: dobbiamo distruggere i nostri beni materiali dalla base, così che possano continuare a vivere nella nostra memoria? Non so se andrei così lontano, la possibilità però di rendere i beni materiali più esperienziali è interessante». Rendere acquistabile un’esperienza – cosa che può suonare come un brutto discorso di marketing – in termini pratici potrebbe in realtà significare anche semplicemente comprare qualcosa in un’occasione speciale. O legare qualcosa a una conseguente interazione sociale. Se compri una cosa del genere, ne puoi parlare anche relazionandola alle tue emozioni, e le persone parleranno di te perché ce l’hai. Sempre ricordandosi che, in realtà, «le persone non ascoltano molto le conversazioni riferite a ciò che possiedono gli altri, mentre sono molto interessate ad ascoltare di quella volta in cui hai visto Vampire Weekend». Così, il vero nodo e inizio di una connessione sociale, non si collega a un bene materiale, ma ad un’esperienza vissuta e raccontata.
La parte più interessante di questa nuova ricerca, secondo Kumar, è quella che «implica conseguenze davvero notevoli nel mondo reale». Riguarda l’analisi delle notizie di attualità che le persone si scambiano mentre aspettano in lunghe code per fare un acquisto di un bene materiale. Quelle che aspettavano di iniziare un’esperienza erano di umore decisamente migliore di quelle che attendevano di completare un acquisto. «Leggiamo queste storie di persone in rivolta, di spray al peperoncino, di gente che si tratta male, durante la coda». Ed è venuto fuori questo accade molto di più se le persone sono in fila per un acquisto rispetto, ad esempio, che in coda per un concerto o in attesa di provare un nuovo cibo al food truck. Questo perché l’umore dei secondi è semplicemente molto più positivo. A ciò si aggiunge il fatto che la buona predisposizione d’animo durante l’attesa di un’esperienza dà un’occasione di condivisione e dunque attiva la soddisfazione personale che deriva dall’interazione sociale pacifica ed empatica. La ricerca ha dimostrato così che le persone in fila per condividere un’esperienza sono più generose rispetto alle altre. E molto più portate a socializzare. […]
Ma perché immaginare e attendere esperienze è diverso dal pensare a oggetti da comprare? Di fatto, in un’esperienza, la fantasia e la rielaborazione trovano ampio spazio. Ci si può immaginare tutte le ipotesi, attendendo quel che accadrà, aspettando che l’esperienza avvenga. «Questo è molto divertente – spiega Kumar – e può svilupparsi mentalmente in molti modi diversi, tutti stimolanti». Con un possesso materiale, si sa invece esattamente cosa si otterrà. Invece di stuzzicare l’appetito immaginandosi tutti i possibili risvolti futuri di una situazione in cui ci si troverà, un oggetto suscita semplicemente il desiderio "Dammelo semplicemente ora"». […]
C’è la stessa differenza che corre tra una persona ottimista e una pessimista. Alcune persone odiano le sorprese. Altre non anticipano nulla nemmeno mentalmente delle loro esperienze perché non vogliono affrontare la preoccupazione di quello che potrebbe andare male. Ma noi abbiamo bisogno di prefigurarci le cose e immaginarle. E così, le persone più felici sanno attendere un’esperienza con il giusto mix di contentezza e preoccupazione. E, soprattutto, mixare la soddisfazione immediata derivata dal possesso di un oggetto a quella, più duratura e autentica, di un’esperienza.
In questo senso, secondo Gilovich, le implicazioni a livello sociale dovrebbero lavorare più sul fornire occasioni di esperienza (parchi, mezzi di trasporto, spiagge,…) più che luoghi di consumo. O la promessa che un giorno possa essere così. Almeno la nostra mente potrà aspettarlo, girovagando sopra l’idea e ricamandoci su in anticipo.