Un'utopia diventata realtà

Cosa c'è di bello da imparare dagli orti condivisi di Berlino

Cosa c'è di bello da imparare dagli orti condivisi di Berlino
Pubblicato:

Forse in pochi conoscono il guerrilla gardening, una realtà ben consolidata in molti Paesi europei, arrivata in Italia nel 2006 ma non ancora conosciuta. Si tratta di cittadini appassionati del verde che decidono di riprendersi lo spazio urbano con in mano palette e vasi di fiori. Un’utopia? Niente affatto, almeno a giudicare da due esempi che vengono dalla capitale tedesca, il Prinzessinnengarten e l’orto condiviso dell’ex aeroporto di Tempelhof.

Gli orti statali. Con più di 77mila orti che ricoprono il 3,5 per cento dell’intera superficie urbana, Berlino è decisamente una città verde. Il bello è che questo verde è per i tre quarti di proprietà dello Stato. Si tratta dei kleingarten, orti urbani vissuti come un vero e proprio prolungamento della propria abitazione, giardini che i privati possono affittare pagando un canone di locazione calcolato sommando il prezzo al mq con una quota di gestione delle aree comuni. Un’idea nata nell'Ottocento per aiutare i poveri a coltivare autonomamente frutta e verdura invece di ricevere aiuti economici, un metodo che si rivelò di vitale importanza durante la crisi alimentare della seconda guerra mondiale. Un sistema diventato oggi un modo per aiutare chi non può permettersi una casa con giardino, che può così aggiudicarsi uno spazio verde in semi condivisione.

 

 

Il Prinzessinnengarten. Se avanguardisti sono gli orti statali, ancora di più lo sono altre due realtà del centro berlinese, che dagli orti statali sono nati: Prinzessinnengarten e l’orto urbano di Tempelhofer Feld. Nel cuore di Kreuzberg, uno dei quartieri più cool della città, a Moritzplatz è nato nel 2009, grazie all’associazione Nomadisch Grün (Verde Nomade) un orto urbano di 6000 metri quadrati, il Prinzessinnengarten, un vero e proprio polmone verde cittadino. Creato in un luogo abbandonato e inizialmente preso in locazione dal Fondo Immobiliare Berlino, nel giugno 2012, quando l’area doveva essere venduta al miglior offerente, con una lettera aperta al Senato e il sostegno di 30mila persone è stata impedita la privatizzazione e ottenuto l’estensione dell’utilizzo per altri cinque anni.

Nata come non-profit dedita al guerrilla gardening, l’associazione Nomadisch Grün incarna il concept alla base del Prinzessinnengarten: l’agricoltura mobile, resa tale dalle piante, gli ortaggi e le erbe aromatiche coltivate in cassette di plastica, cartoni del latte o sacchi di riso, facilmente trasportabili in caso di contaminazioni del suolo o per espandere il progetto ad altre aree della città. Dall’idea del giardino urbano ne sono nate molte altre: una caffetteria con bevande biologiche, un ristorante con prodotti freschi dell’orto, un’area per l’apicultura, una zona gioco, una casa di legno e una biblioteca ricavata all’interno di un container. Ci sono inoltre corsi settimanali e workshop aperti a tutti, in un’ottica di scambio e apprendimento sui temi della coltivazione locale e biologica, della biodiversità, del consumo sostenibile e dello sviluppo urbano.

 

 

L'orto urbano di Tempelhofer Feld. Altrettanto interessante è la storia del più grande parco pubblico d’Europa, di Tempelhofer Feld, l’orto urbano nato nell’aeroporto prima nazista e poi diventato punto di snodo del ponte aereo con cui gli Stati Uniti e altri Stati europei rifornivano Berlino Ovest di beni di necessità dopo il blocco sovietico. Tornato ad essere usato per scopi civili, è stato chiuso nel 2008 prima di essere “rilevato” – con un procedimento analogo a quello del Prinzessinnengarten – dall’organizzazione Allmende Kontor, che ha preso in concessionaria dal comune una parte del parco per farne un orto cittadino. Sono state piantate più di 300 piante e la zona è diventata un vero e proprio giardino urbano, punto di ritrovo domenicale per i berlinesi, oasi perfetta per passeggiate e picnic, oltre che per curare e coltivare piante e fiori. Uno spazio fondato, come a Moritzplatz, sulla co-gestione e l’agricoltura nomade. Tutte le piante sono infatti disposte in aiuole sopraelevate circondate da cornici di compensato, così da poter essere facilmente spostate a fine contratto. L’area è divisa in piccoli lotti affidati a gruppi di persone organizzate in maniera spontanea.

 

Embed from Getty Images
In Italia. Ricavati da aree di verde pubblico e assegnati dai comuni in comodato ai cittadini, gli orti urbani contribuiscono, in luoghi spesso abbandonati o degradati, a un processo di riqualificazione urbana, di sviluppo eco-sostenibile e di produzioni ortofrutticole biologiche. Un sistema che è arrivato anche in Italia, come dimostrato dal progetto nazionale di orti urbani al quale hanno aderito numerosi comuni italiani. In un periodo di crisi come quello odierno gli orti urbani sono anche un metodo per contrastare la povertà estrema in città e per facilitare la socializzazione tra fasce sociali e generazioni differenti, che si ritrovano a coltivare, mangiare e curare insieme spazi condivisi.

Seguici sui nostri canali