Una crescita incredibile

Sì, siamo meglio della Juventus (oh, davvero, non siamo impazziti)

Sì, siamo meglio della Juventus (oh, davvero, non siamo impazziti)
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«Tre anni fa, quando abbiamo cominciato a giocare contro le big, c’era un divario notevole. Non che non ci sia adesso, ma ci siamo avvicinati»: le parole Gian Piero Gasperini dopo la vittoria con il Lecce, prima della sosta, nemmeno troppo tempo fa a Bergamo non avrebbero avuto cittadinanza, se non altro per l’irriverenza del termine di paragone. Al di là dell’affetto, al di là del cuore, c’era la ragione, e la ragione suggeriva correttamente un confronto con altre realtà. Adesso no, adesso non più. I risultati parlano, i numeri raccontano la realtà, e non si tratta solo delle classifiche che contano (quarto, settimo e terzo posto nelle ultime tre stagioni, terzo oggi) ma anche di quelle puramente platoniche, capaci però di riempire di senso il discorso di cui sopra. Quella dell’anno solare 2019, ad esempio, che vede l’Atalanta al primo posto: 57 punti in 26 partite, uno in più della Juventus – campione d’Italia in carica e capolista – e ben nove in più di Inter, Napoli e Roma che seguono, a debita distanza. La media è impressionante: 2,19 punti a gara. Per intenderci, spalmata su un campionato di 38 partite si tradurrebbe in qualcosa come 83 punti.

 

 

Sebbene l’Atalanta sia prima già da qualche mese, il dato – pur meraviglioso a vedersi – è parziale e dovrà essere confermato: di qui alla fine del 2019 i nerazzurri dovranno disputare altre dieci partite di campionato, fra le quali spicca lo scontro diretto casalingo di sabato 23 novembre proprio contro la squadra di Sarri. Che è poi quella di Cristiano Ronaldo, De Ligt, Pjanic: la big per antonomasia, attualmente però alle spalle di una Dea che non soffre di vertigini e mira legittimamente a consolidarsi, pur con le sue peculiarità, nel ristretto gruppo delle grandi. Intanto, però, vale la pena andare a ritroso per certificare i progressi dell’Atalanta anno dopo anno. Pur tenendo presente che le classifiche sull’anno solare prendono in considerazione di fatto due stagioni a metà e possono essere pertanto disomogenee, la lettura del dato è significativa proprio perché la somma dell’ultima parte del campionato precedente e della prima di quello successivo finisce per dare l’idea di una crescita sul lungo periodo.

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Ecco allora che la serie storica degli ultimi dieci anni solari di Atalanta vede il dato attuale già sul podio e – meglio ribadirlo – con ancora dieci partite per completare la somma. La Dea migliore dal 2010 a oggi è stata quella del 2017: 67 punti in 39 partite per una media di 1,71 punti a gara (sesta dopo Napoli, Juventus, Roma, Inter e Lazio), davanti a quella del 2018, settima con 61 punti in 38 partite per una media di 1,6. Per farla breve, con altri undici punti di qui a fine dicembre, l’Atalanta 2019 si prenderebbe il primato, mentre ne bastano sette per migliorare la media, considerando che alla fine le partite saranno 36. Obiettivi alla portata, ma alla squadra oggi si chiede di più: di andare almeno oltre i 70 punti, anche questo un traguardo ampiamente raggiungibile considerando cos’è l’Atalanta oggi. Costante negli ultimi tre anni solari è la presenza in panchina di Gasperini, mentre l’ultimo diviso tra due allenatori – il 2016, tra Reja e appunto il Gasp – aveva portato in dote 53 punti in 39 partite (1,36). I dati precedenti sono lontanissimi da quelli odierni: 46 punti nel 2015 (media 1,18), 47 nel 2014 (1,27), 34 nel 2013 (0,92), 44 nel 2012 (1,1), mentre 2011 e 2010 risentono della parentesi in B (parlando solo di quanto ottenuto nel massimo campionato, si tratta di 20 punti per 1,25 di media nell’anno del ritorno in A, 22 per 1 punto di media in quello della retrocessione).

 

 

Numeri che danno il senso dell’evoluzione se valutati nel contesto di una crescita passo dopo passo: dopo il ritorno in A, le medie denotano prima la fase di assestamento (2012 e 2013), quindi il consolidamento (2014, 2015 e anche 2016), infine il cambio di passo (2017 e 2018). Il 2019 è l’anno del salto, o almeno è ciò che appare sinora. Non è un caso. Si chiama programmazione ed è il prodotto di più fattori: player trading, investimenti strutturali, raggiungimento dei traguardi stabiliti (l’essersi affacciati e aver confermato la presenza nelle coppe europee) e il conseguente potenziamento dell’immagine proiettata dal club in termini sia societari che di obiettivi sportivi. Ed è proprio lì che si torna: «Tre anni fa, quando abbiamo cominciato a giocare contro le big, c’era un divario notevole. Non che non ci sia adesso, ma ci siamo avvicinati». Quanto è vero.

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