Intervista al presidente Bonomi

Croce Rossa, ottomila missioni d'emergenza in un mese: «Ho visto i miei piangere»

«Quando passi la giornata a entrare e uscire da queste case, quindici, venti persone al giorno messe così, il carico emotivo diventa insostenibile. Però dai, abbiamo resistito!»

Croce Rossa, ottomila missioni d'emergenza in un mese: «Ho visto i miei piangere»
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di Heidi Busetti

Nella sede della Croce Rossa Italiana di Bergamo, in via Croce Rossa 2, c’è un continuo vai e vieni di volontari in divisa e con la mascherina. C’è chi sanifica le ambulanze, chi è seduto in sala radio, chi sta cercando un momento di ristoro dopo un turno estenuante, mangiando dei dolcetti che i bergamaschi hanno portato in segno di riconoscenza. Un biglietto scritto a biro recita: «Da parte dei cittadini. Grazie!». È l’ennesimo gesto di chi, dovendo stare a casa, vuole sentirsi utile supportando chi invece combatte in prima linea. A capo di quest’esercito di uomini con la divisa rossa e la croce sulla schiena c’è Maurizio Bonomi, un omone dalla voce ferma, rassicurante, come deve essere quella di un buon padre di famiglia. Sicuramente nelle sue qualità ha nervi saldi e il polso per capire le situazioni, altrimenti non avrebbe potuto reggere una guerra per la quale sono dovute sfrecciare tra Bergamo e provincia, centinaia di mezzi in trenta giorni con oltre ottomila missioni di emergenza.

Cosa ricorda dell’inizio del Covid-19?

«La data è il 23 febbraio. Ricordo la prima riunione con l’Azienda Regionale Emergenza Urgenza di Bergamo (Areu) e i rappresentanti delle associazioni che qui fanno emergenza: Croce Rossa Italiana, Anpas (Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze) e FVS (Federazione Volontari del Soccorso). È stata la prima riunione indetta per concentrarci su una strategia di attenzione a Covid-19. Sin dall’inizio il nostro punto focale è stata la tutela dei volontari e dei dipendenti, dunque massima attenzione ai dispositivi di protezione individuale e sanificazione dei mezzi. Fortunatamente noi avevamo una sanificatrice al perossido di idrogeno e ne abbiamo acquistata subito un’altra. Calcoli che per ogni sanificazione servono venti minuti. Se pensa che Bergamo è stato il punto focale delle sanificazione anche per le altre associazioni, può immaginarsi quanto la sede fosse un porto di mare...».

Avrete avuto una logistica ben precisa...

«All’inizio soprattutto. Poi man mano abbiamo inserito altre sanificatrici a ozono in tutta la provincia per far sì che i mezzi non dovessero per forza tornare a Bergamo, guadagnando così del tempo. In questo momento abbiamo dieci punti di sanificazione in tutta la Provincia. Questa continua pulizia dei mezzi e l’estrema attenzione ai dispositivi di protezione personale ci ha permesso di tutelare con forza i nostri volontari, i nostri sanitari e i dipendenti».

Qui in sede avete organizzato un percorso ben preciso per la tutela delle persone?

«Necessariamente. All’arrivo ci si toglieva la tuta una volta scesi dall’ambulanza, con dei passaggi molto precisi. Prima la tuta, poi i guanti, infine gli occhiali protettivi. Dopo la svestizione si passava alla disinfezione delle scarpe - il tappetino all’ingresso è imbevuto ogni giorno di liquido disinfettante - e delle mani, per trovare infine un attimo di ristoro e calma all’interno della sede, che dal 23 febbraio era aperta 24 ore su 24 anche con le ambulanze notturne (di solito nei tempi prima dell’emergenza disponibile solo nel week-end). Organizzata la parte logistica dell’area emergenza sanitaria si è passati a organizzare tutta l’area di assistenza sociale alla popolazione, con la rete di quartiere del Comune di Bergamo è stato attivato un numero per i cittadini e Croce Rossa ha preso in carico la distribuzione dei farmaci, oltre al fatto di rispondere a quelle richieste che venivano inoltrate attraverso il nostro numero nazionale. È stato un mese molto impegnativo».

Lei è d’accordo con chi la definisce una vera e propria guerra?

«Ne parlavo giusto con il nostro presidente nazionale: il terremoto, l’inondazione, sono eventi statici. C’è un'emergenza ed è ben identificata. Tu arrivi e porti aiuto. Il virus è stato qualcosa di eccezionale, un evento che nessuno di quelli sul campo ha mai sperimentato prima. E il virus è qualcosa di impalpabile che ci ha privato di una parte fondamentale nelle emergenze: il contatto fisico. L’abbraccio, la stretta di mano, tutto ciò che dà conforto... ci è stato tolto completamente. L’unica possibilità è trasmettere sostegno con lo sguardo e la voce. E questo è stato qualcosa di veramente innaturale, lontano anni luce da qualsiasi altra emergenza».

Gli artigiani in Fiera, i volontari della spesa, chi fa donazioni. Anche voi avete avvertito questa forza dettata dalla solidarietà?

«Posso dire che abbiamo avuto tante persone che ci hanno dimostrato affetto. La definirei un’esperienza stravolgente, sia per le dimostrazioni dei cittadini sia per l’arrivo degli equipaggi da tutta Italia. Sa, l’aspetto psicologico in questa emergenza è stato pesantissimo. Quando tutto sarà finito dovremo ricomporre i cocci di persone che hanno visto scene troppo forti. Alcuni medici, consiglieri in Croce Rossa, ci hanno detto di aver vissuto il virus come una pesante sconfitta professionale. La loro missione è quella di portare la cura. Ma quando entri in una casa dove trovi un paziente che “respira con le orecchie”, come diciamo noi, e l’unica possibilità che si ha come medici è di accompagnarlo alla morte, in quell’istante si è immersi in un sentimento straziante. Non c’è percorso, come per il malato oncologico. Non ci si prepara. Finisce e basta. E quando passi la giornata a entrare ed uscire da queste case, quindici, venti persone al giorno messe così, il carico emotivo diventa insostenibile. Ho visto i miei volontari, gli infermieri e i medici piangere sotto la maschera. È un aspetto che ti segna con forza, senza contare che il virus ci ha portato via la nostra memoria storica, le nostre radici. E senza preavviso. Però dai, abbiamo resistito! Anche con le altre associazioni abbiamo lavorato in sinergia. È stato incredibile. Incredibile!».

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