Pietra miliare

Dona parte di un polmone al figlio di 5 anni: prima volta in Italia al Papa Giovanni XXIII

Il piccolo paziente è affetto da talassemia. Pochissimi i casi noti al mondo

Dona parte di un polmone al figlio di 5 anni: prima volta in Italia al Papa Giovanni XXIII
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L'ospedale Papa Giovanni XXIII aggiunge una pietra miliare ai suoi già numerosi successi. Martedì 17 gennaio i chirurghi del nosocomio bergamasco hanno eseguito per la prima volta in Italia un trapianto di polmone da donatore vivente. Il piccolo paziente è un bambino di 5 anni, residente fuori regione, mentre il donatore è il padre, dopo aver donato al bambino il midollo per curare una rara malattia che lo affligge sin dalla nascita ha scelto di donare anche una parte del suo polmone per salvargli la vita. Si tratta di un caso molto raro, con pochissimi precedenti in Europa.

Il piccolo è affetto da talassemia (nota anche come anemia mediterranea), una patologia del sangue che ha reso necessario un trapianto di midollo eseguito in un altro ospedale italiano. Tuttavia, ciò ha generato la cosiddetta malattia da trapianto contro l'ospite, ovvero una grave complicanza legata a una complessa reazione immunitaria, dove le cellule trapiantate del donatore "attaccano" organi e tessuti del ricevente, che il nuovo sistema immunitario non riesce a riconoscere come propri.

Il passaggio della porzione di polmone donato da una sala operatoria all'altra
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I chirurghi Alessandro Lucianetti e Domenico Pinelli al lavoro sul donatore
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I chirurghi Michele Colledan e Michela Guizzetti durante il trapianto sul bambino
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La preparazione dell'organo subito dopo il prelievo
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Pochi casi noti in Europa

Questa forma di rigetto aveva causato al bambino un danno estremamente grave e irreversibile alla funzionalità polmonare. Così si è reso necessario il particolare trapianto di polmone, di cui il piccolo è stato il primo paziente in Italia ad esserne stato sottoposto. Padre e figlio restano ricoverati a Bergamo in prognosi riservata, ma i medici sono fiducioso circa il decorso post operatorio. Anche perché il rischio di rigetto, particolarmente elevato quando il trapianto avviene da cadavere, è molto basso quando il sistema immunitario "riconosce" il nuovo organo come proprio.

Per questo motivo quando un ospedale fuori regione ha chiesto la disponibilità del Papa Giovanni ad accettare il paziente pediatrico, i chirurghi di Bergamo - che hanno alle spalle una quarantennale esperienza nel campo dei trapianti e della chirurgica maggiore - hanno proposto alla famiglia la donazione da vivente, un'opzione possibile ma finora eseguita solo in rari casi e in pochissimi Paesi del mondo, soprattutto in Giappone e nel Nord America, a causa della sua applicazione estremamente complessa. I casi noti in Europa sono pochi: due quelli registrati negli ultimi dieci anni. Tutta la procedura in sala operatoria è durata undici ore, mentre le due équipe - guidate da Michele Colledan e da Alessandro Lucianetti - sono state assistite da diverse decine di operatori.

«L'estrema rarità di questi casi e i limiti tecnici del trapianto da vivente non lo rendono un'opzione terapeutica di facile applicazione - ha precisato Michele Colledan, direttore del Dipartimento di insufficienza d’organo e trapianti e dell’Unità di Chirurgia generale 3 – trapianti addominali dell’Asst Papa Giovanni XXIII -. L'intervento segna comunque per il nostro ospedale una tappa importante in un percorso di crescita dell'attività trapiantologica quasi quarantennale».

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