«Hai mai litigato coi tuoi fratelli?» I bambini parlano di pace col Papa
A mezzogiorno di lunedì 11 maggio, nell’Aula Paolo VI in Vaticano, Papa Francesco ha ricevuto in udienza bambini e ragazzi di scuole primarie provenienti da tutta Italia, protagonisti della manifestazione promossa dalla Fondazione “La Fabbrica della Pace” e dal Comitato promotore dell’omonima Fondazione. Il Papa ha risposto a braccio alle domande postegli dai bambini. Riportiamo la trascrizione del dialogo, pubblicato dal sito news.va.
Cari bambini, buongiorno!
E cari non-bambini, buongiorno!
Ho sentito le domande che voi avete fatto. Io le ho scritte qui, le domande… Sono 13. Ma siete stati bravi a fare le domande! Io parlerò partendo dalle domande che voi avete fatto.
Chiara: «Litigo spesso con mia sorella. Ma tu hai mai litigato con la tua famiglia?»
«È una domanda reale. Io ho la tentazione di fare questa domanda: Alzi la mano chi non ha mai litigato con un fratello o con qualcuno della famiglia, proprio mai!...Tutti lo abbiamo fatto! È parte della vita, perché “io voglio fare un gioco”, l’altro vuole farne un altro, e poi litighiamo... Ma alla fine l’importante è fare la pace. Sì: litighiamo, ma non dobbiamo finire la giornata senza fare la pace. Tenete sempre in mente questo. A volte io ho ragione, l’altro ha sbagliato, come vado a chiedere scusa? Non chiedo scusa, ma faccio un gesto, e l’amicizia continua. Questo è possibile: non lasciate che l’aver litigato vada al giorno dopo. Questo è brutto! Non finire la giornata senza fare la pace. Anch’io ho litigato tante volte, anche adesso... Mi riscaldo un po’, ma cerco sempre di fare la pace insieme. È umano litigare. L’importante è che non rimanga, che dopo ci sia la pace. Capito?».
«Vorrei recitare una poesia al Papa. Il titolo della poesia è “La pace si costruisce”...».
È vero, la pace si costruisce ogni giorno. Non vuol dire che non ci siano le guerre. Con dolore ci saranno le guerre... Pensiamo che un giorno non ci siano guerre, e poi? Per non cadere in un’altra guerra si costruisce la pace ogni giorno. La pace non è un prodotto industriale: la pace è un prodotto artigianale. Si costruisce ogni giorno con il nostro lavoro, con la nostra vita, con il nostro amore, con la nostra vicinanza, con il nostro volerci bene. Capito? La pace si costruisce ogni giorno!».
(AP Photo/Riccardo De Luca)
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(L'Osservatore Romano/Pool Photo via AP)
«Santità, ma non si stanca a stare in mezzo a tanta gente? Non vorrebbe Lei un po’ di pace?».
«Io, tante volte, vorrei un po’ di tranquillità, riposarmi un po’ di più. Questo è vero. Ma stare con la gente non toglie la pace. Sì, c’è chiasso, rumore, ci si muove... Ma questo non toglie la pace. Quello che toglie la pace è il non volerci bene. Quello toglie la pace! Quello che toglie la pace è la gelosia, le invidie, l’avarizia, il prendere le cose degli altri: quello toglie la pace. Ma stare con la gente è bello, non toglie la pace! Stanca un po’ perché uno si stanca, io non sono un giovanotto…. Ma non toglie la pace!».
Un bambino egiziano. «Caro Papa noi siamo provenienti da Paesi poveri e con guerre. La scuola ci vuole bene; perché le persone potenti non aiutano la scuola?».
«Si può fare la domanda anche un po’ più grande: perché tante persone potenti non vogliono la pace? Perché vivono sulle guerre! L’industria delle armi: questo è grave! I potenti, alcuni potenti, guadagnano con la fabbrica delle armi, e vendono le armi a questo Paese che è contro quello, e poi le vendono a quello che va contro questo... È l’industria della morte! E guadagnano. Voi sapete, la cupidigia ci fa tanto male: la voglia di avere più, più, più denaro. Quando noi vediamo che tutto gira intorno al denaro - il sistema economico gira intorno al denaro e non intorno alla persona, all’uomo, alla donna, ma al denaro - si sacrifica tanto e si fa la guerra per difendere il denaro. E per questo tanta gente non vuole la pace. Si guadagna di più con la guerra! Si guadagnano i soldi, ma si perdono le vite, si perde la cultura, si perde l’educazione, si perdono tante cose. È per questo che non la vogliono. Un anziano prete che io ho conosciuto anni fa diceva questo: il diavolo entra attraverso il portafogli. Per la cupidigia. E per questo non vogliono la pace!».
Domanda di un altro bambino.
«Rafael, mi ha commosso molto quello che hai detto (lo dice in spagnolo). Sono stato colpito. La tua domanda l’hai fatta in spagnolo. Vorresti sapere: “C’è qualche ragione per cui un bambino, senza fare niente di cattivo, può venire al mondo, nascere, con i problemi che io ho avuto? Cosa suggerisce che io possa fare affinché i bambini come me non soffrano?”. Questa domanda è una delle più difficili a cui rispondere. Non c’è risposta! C’è stato un grande scrittore russo, Dostoevskij, che aveva fatto la stessa domanda: perché soffrono i bambini? Si può soltanto alzare gli occhi al Cielo e aspettare risposte che non si trovano. Non ci sono risposte per questo, Rafael. Invece sì, ci sono, per la seconda parte: “Cosa posso fare io perché un bambino non soffra o soffra di meno?”. Stargli vicino! La società cerchi di avere centri di cura, di guarigione, centri anche di aiuto palliativo perché non soffrano i bambini; sviluppi l’educazione dei bambini con malattie. Si deve lavorare tanto. A me non piace dire – per esempio – che un bambino è disabile. No! Questo bambino ha una abilità differente, un’abilità differente! Non è disabile! Tutti abbiamo abilità, tutti! Tutti hanno la capacità di darci qualcosa, di fare qualcosa. Alla prima domanda non ho risposto; alla seconda sì».
(AP Photo/Riccardo De Luca)
(AP Photo/Riccardo De Luca)
(AP Photo/Riccardo De Luca)
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«Caro Papa, c’è una possibilità di perdono per chi ha fatto cose brutte?».
«Sentite bene questo: Dio perdona tutto! Capito? Siamo noi a non saper perdonare. Siamo noi a non trovare strade di perdono, tante volte per incapacità o perché – quella bambina che ha fatto questa domanda ha il papà in carcere – è più facile riempire le carceri che aiutare ad andare avanti chi ha sbagliato nella vita. La strada più facile? Andiamo in carcere. E non c’è il perdono. E il perdono cosa significa? Sei caduto? Alzati! Io ti aiuterò ad alzarti, a reinserirti nella società. Sempre c’è il perdono e noi dobbiamo imparare a perdonare, ma così: aiutando a reinserire chi ha sbagliato. C’è una bella canzone che cantano gli alpini. Dice più o meno così: “Nell’arte di salire, la vittoria non sta nel non cadere, ma nel non rimanere caduto”. Tutti cadiamo, tutti sbagliamo. Ma la nostra vittoria su noi stessi e sugli altri – per noi stessi – è non rimanere ‘caduti’ e aiutare gli altri a non rimanere ‘caduti’. E questo è un lavoro molto difficile, perché è più facile scartare dalla società una persona che ha fatto uno sbaglio brutto e condannarlo a morte, chiudendolo all’ergastolo... Il lavoro deve essere sempre quello di reinserire, non rimanere ‘caduti’».
Questa è una bella domanda: “E se una persona non vuole fare pace con te, tu cosa faresti?”.
«Prima di tutto il rispetto per la libertà della persona. Se questa persona non vuole parlare con me, non vuole fare pace con me, ha dentro di sé, non dico odio, ma un sentimento contro di me... Rispettare! Pregare, ma mai, mai vendicarsi. Mai! Rispetto. Tu non vuoi fare la pace con me, io ho fatto tutto il possibile per farla, ma rispetto questa scelta tua. Dobbiamo imparare il rispetto. Nel lavoro artigianale di fare la pace, il rispetto per le persone è sempre, sempre al primo posto. Capito? Il rispetto!».
Un ragazzo detenuto a Casal del Marmo fa questa domanda: «La risposta ai ragazzi come me spesso è il carcere. Lei è d’accordo?».
«No. Non sono d’accordo. Ripeto quello che ho detto: è l’aiuto a rialzarti, a reinserirti, con l’educazione, con l’amore, con la vicinanza. Ma la soluzione del carcere è la cosa più comoda per dimenticare quelli che soffrono! Io vi do un consiglio: quando vi dicono che questo è in carcere, che quello è in carcere, che quell’altro è in carcere, dite a voi stessi: “Anch’io posso fare gli stessi sbagli che ha fatto lui”. Tutti possiamo fare gli sbagli più brutti! Non condannare mai! Aiutare sempre a rialzarsi e a reinserirsi nella società».
«Caro Papa, ho nove anni e sento parlare sempre della pace. Ma cosa è la pace? Me lo puoi spiegare? Approfitto per dirti che a settembre vado a Lourdes con l’Unitalsi. Perché non vieni e guidi il treno, così non arriviamo in ritardo?».
«Sei stato bravo. Bravo! La pace è prima di tutto che non ci siano le guerre, ma anche che ci sia la gioia, che ci sia l’amicizia fra tutti, che ogni giorno si faccia un passo avanti per la giustizia, perché non ci siano bambini affamati, perché non ci siano bambini malati che non abbiano la possibilità di essere aiutati nella salute... Fare tutto questo è fare la pace. La pace è un lavoro, non è uno stare tranquilli... No, no! La vera pace è lavorare perché tutti abbiano la soluzione ai problemi, ai bisogni, che hanno nella loro terra, nella loro patria, nella loro famiglia, nella loro società. Così si fa la pace – come ho detto – “artigianale”».
(AP Photo/Riccardo De Luca)
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(AP Photo/Riccardo De Luca)
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«Caro Papa, come può aiutarci la religione nella vita?».
«La religione ci aiuta perché ci fa camminare in presenza di Dio; ci aiuta perché ci dà i Comandamenti, le Beatitudini; soprattutto ci aiuta – tutte le religioni, perché tutti hanno un comandamento che è comune – ad amare il prossimo. E questo “amare il prossimo” ci aiuta tutti per la pace. Ci aiuta tutti a fare la pace, a andare avanti nella pace. Ci aiuti a tutti».
«Ma secondo te, Papa, un giorno saremo tutti uguali?».
«A questa domanda si può rispondere in due maniere: tutti siamo uguali – tutti! –, ma non ci riconoscono questa verità, non ci riconoscono questa uguaglianza, e per questo alcuni sono più – diciamo la parola, ma fra virgolette – felici degli altri. Ma questo non è un diritto! Tutti abbiamo gli stessi diritti! Quando non si vede questo, quella società è ingiusta. Non è secondo giustizia. E dove non c’è la giustizia, non può esserci la pace. Capito? Lo diciamo insieme, vediamo se siete bravi, mi piacerebbe ripeterlo insieme più di una volta… State attenti, è così: “Dove non c’è la giustizia, non c’è la pace!”… Tutti!
[ripetono più volte: “Dove non c’è la giustizia, non c’è la pace!”]. Ecco. Imparate bene questo!».
E l’ultima domanda: «Dopo questo incontro cambia veramente qualcosa?».
«Sempre! Quando facciamo qualcosa insieme, qualcosa di bello, qualcosa di buono, tutti cambiano. Tutti cambiamo qualcosa. E questo ci fa bene. Andare avanti con questo incontro ci fa bene. Ci fa tanto bene! Tutti noi, oggi, dobbiamo uscire da questo incontro un po’ cambiati: in meglio o in peggio?».
Bambini: «In meglio!».
Papa: «In peggio, avete detto?».
Bambini: «In meglio!».
Papa: «Un po’ cambiati in meglio».
«Cari bambine e bambine, grazie tante per le vostre domande. Sono stati bravi! Grazie tante e pregate per me».
[Benedizione]
Papa: «E lavorate per la pace! Capito?».
Bambini: «Sì!».
Papa: «Come era quell’altro? Dove non c’è giustizia, non c’è pace! Come era?».
Bambini: «Dove non c’è giustizia, non c’è pace!».
Papa: «Un’altra volta...».
Bambini: «Dove non c’è giustizia, non c’è pace!».
Papa: «Un’ultima volta...».
Bambini: «Dove non c’è giustizia, non c’è pace!».