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I santi più pregati dagli italiani

I santi più pregati dagli italiani
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La Nuova Bussola Quotidiana ha fornito, giorni fa, una classifica esplicitamente dichiarata “alla buona” dei santi più pregati e amati dagli italiani. Dagli italiani “in casa”, viene precisato, perché mancano dati attendibili su quelli invocati nelle chiese e nei santuari.
Anche tenuto conto delle delimitazioni, risulterebbe che Padre Pio detiene attualmente la testa della graduatoria col 69% delle preghiere, seguito da Sant'Antonio (si suppone da Padova) (35%) e San Francesco (immaginiamo d’Assisi) (19%). La Santa più amata è - ovviamente; roba da vergognarsi a chiederlo - Santa Rita (da Cascia): l’8% degli italiani (si suppone che voglia dire: del campione intervistato) dichiara di avere in casa una sua immagine.
A distanze incolmabili seguono (seguirebbero, il condizionale è d’obbligo) Madre Teresa (2,4%) e Santa Chiara (1,6%). Dall’indagine risulta (risulterebbe) altresì che soltanto il 4% della popolazione ha in casa un san Gennaro, mentre nessuno ha dichiarato di detenere un’immaginetta di Sant'Ambrogio, il protettore di Milano, o di San Petronio, il collega di Bologna.
Speriamo che nessuno abbia detto che i patroni di Roma sono i santi Romolo e Remo.

In calo anche le quotazioni di San Giuseppe che, pur contendendo a Sant’Antonio (l’altro, quello col porcello e “la barba bianca”, per far rima con “quel che ci manca")) la capacità di far ritrovare le cose perdute, è sopravanzato sia dalla suocera di Giuseppe, Sant’Anna, sia da San Nicola di Bari.

L’articolo rimanda poi a un altro sito (cartantica.it, molto meglio documentato, anche se mancano le percentuali), che nella sezione “santi e patroni più venerati” presenta un elenco che ci pare più attendibile del precedente.
In cima troviamo Sant’Antonio da Padova. E qui ci siamo. Sant’Antonio è il top dei top e non si discute (anche per una ragione che vedremo in seguito).
San Nicola patrono di Bari. È famoso per aver dato un sacco di zecchini d’oro a tre fanciulle che non avrebbero potuto sposarsi a causa della taccagneria dei loro padri. Da allora in poi si trova ogni giorno in chiesa delle giovani impegnate a far tre volte il giro di una colonna (sulla sinistra, entrando) nella speranza che qualcuno si degni di guardarle. Se ci fosse un qualche santo protettore della depilazione dei baffi o dello spazio tra le ciglia l’intero ciclo liturgico barese ne sarebbe sconvolto. (Questo non lo dice cartantica.it. Lo supponiamo noi sulla base di testimonianze).
San Rocco di Montpellier, quello col cane che gli lecca la ferita. È patrono di Cisterna (Latina), dei cappellai, dei rigattieri, dei farmacisti, dei pavimentatori, dei tagliapietre e dei lavori pubblici. Soprattutto in quest’ultima attività deve avere un sacco da fare in questi tempi.

Dopo di lui san Giuseppe. Una vera ingiustizia, a nostro parere. Seguito da san Francesco di Paola (in Calabria) patrono dei naviganti e dei naufraghi, cioè di coloro che si sono dimenticati di chiamarlo quando erano ancora in tempo. Ma lui non fa questione di prima o dopo: salva tutti, come si desume dagli ex voto presenti in tutte le località di mare da Pisa a Grado passando per la sua Paola.

Ed eccoci a sant’Antonio Abate, o del deserto, o del porcellino, o dalla barba bianca come sopra ricordato. Nella sua vita ha accumulato una serie di patronati che nemmeno l’ex direttore dell’INPS ne aveva tanti: Compatrono di Napoli, protettore dei fornai, macellai, salumieri, allevatori, dei contadini, degli animali domestici, dei fabbricanti di spazzole (di setola, per via del maiale), protegge contro ogni tipo di contagio e soprattutto contro il “fuoco di sant’Antonio” svenduto come “Erpes Zoster” dai medicattoli positivisti e scientisti.
A parte celebrate le proprietà terapeutiche, la sua immagine dovrebbe campeggiare sul fronte di ogni supermercato che si rispetti o almeno in testata a ogni reparto.
Data - inoltre - la fortunata omonimia, è possibile, nell’incertezza, chiamare entrambi gli Antonio che - sempre da testimonianze dirette - non sono affatto gelosi l’uno dell’altro. Chi si libera per primo interviene.

Prima delle donne: Sant’Agata patrona di Catania, quella che il giorno del suo nome è una delle feste più belle del mondo, con tanti di quei coriandoli per le strade che sembra di camminare con l’acqua al ginocchio.
San Giovanni Bosco. Il santo dei ragazzi dell’epoca industriale, dei campetti dell’oratorio e degli artigianelli. Bravo san Giovanni Bosco.
San Francesco d’Assisi. Adesso poi che c’è il papa col suo nome, non ce n’è per nessuno. Una meraviglia d’uomo, che ha avuto se non altro il merito di farsi a piedi lunghi viaggi nei posti più belli del mondo. Primo di tutti: la Verna, in provincia di Arezzo. Grazie che ci sei, Francesco caro.

Poi santa Patrizia, anche lei compatrona di Napoli. E san Gennaro. A questo punto Napoli ne ha tre di patroni. Esagerati, come sempre.

Cartantica colloca solo a questo punto santa Rita da  Cascia, ma riteniamo che si tratti di un errore di redazione, per cui pregheremmo i responsabili del sito di provvedere tempestivamente allo spostamento della summenzionata Da Cascia Rita in posizione più consona ai suoi meriti e alle sue preghiere (ricevute). Se poi le rifacessero anche il santuario non sarebbe affatto male. Ma capiamo che non sia compito del sito.

Seguono san Luigi Gonzaga, patrono dei giovani d’un tempo: quello che quando i suoi lo portavano a teatro teneva gli occhi chiusi per non peccare (così ci raccontavano a catechismo, e noi tutti abbiam pensato che tanto valeva rimanere a casa, allora); santa Filomena patrona di Sanseverino Marche e, infine, san Giovanni Battista che si nutriva di cavallette e miele selvatico e per primo riconobbe suo cugino Gesù di Nazareth mentre erano ancora entrambi nel seno delle rispettive madri.

A proposito di san Luigi Gonzaga - che oggi non se lo ricorda nessuno, ma un tempo non c’era madre che non lo invocasse - bisognerebbe richiamare in classifica un altro grandissimo protettore dei giovani: san Stanislao Kostka. A parte il fatto che - per dire quant’era venerato - chi scrive ha conosciuto una signora (una donna) che si chiamava Stanislaa (e il fratello? Luigi, naturalmente), a parte certe scelte singolari, dicevamo, questo Stanislao, nobile polacco dovrebbe essere venerato più dai ragazzi che dai loro genitori perché - costretto a risiedere in un alloggio non consono alla sua dignità dopo che l’imperatore d’Austria aveva requisito il collegio viennese in cui - tredicenne - era stato mandato a studiare, e beccatosi una malattia di quelle che non lasciano scampo, fuggì dalla città per recarsi a Dillingen deciso a entrare nella Compagnia di Gesù.
Raggiunto dal padre comprensibilmente infuriato rispose che non se ne parlava nemmeno di tornare a casa o in collegio e così andò a Roma per il noviziato. “Morì il giorno dell’Assunta, a diciott’anni, nel 1568. Fu il primo beato della Compagnia” è scritto su santiebeati.it.
Poi si dice la famiglia. San Francesco era fuggito di casa, san Stanislao anche, di altri non diciamo, ma se fossi un genitore mi preoccuperei seriamente di quel che raccontano ai miei figli a catechismo.

Rispetto a sant’Agata bisognerebbe poi dire che per un paio d’anni chi scrive ha tenuto in casa l’immaginetta della sua collega palermitana santa Rosalia, “la santuzza”. A capodanno, infatti, in Sant’Ambrogio di Milano, al termine della messa è tradizione prendere dalle mani del sacerdote l’immagine di un santo - quella che capita capita. Per due anni è capitata quella di santa Rosalia. Di cui si narra - sul retro dei santini - che si macerò in preghiera in una caverna sul monte Pellegrino, il monte che domina Palermo.
In entrambe le immaginette Rosalia appariva però così paffuta e in carne, e così sorridente, da far pensare che digiuni e astinenze le avessero davvero fatto un gran bene. All’anima, chiaro.

Mancano inoltre nelle classifiche sopra riportate due santi di prima grandezza quali sant’Espedito e san Martino de Porres (o da Lima). A quest’ultimo è dedicata una cappella a destra entrando in Santa Maria delle Grazie a Milano (quella del Cenacolo vinciano, e nella quale, a sinistra entrando, si conserva l’abito di santa Caterina da Siena, domenicana come Martino).
San Martino de Porres (andate a leggere su santiebeati.it o dove volete voi) è il santo più tenero che esista al mondo. Forse solo il Beato Innocenzo da Berzo - cappuccino - può stargli accanto. Poverissimo, sempre pronto ad aiutare tutti, compresi i topi che non trovavano da mangiare. Non era nemmeno sacerdote, tanto era un semplice.

Sant’Espedito invece va ricordato perché - dopo averne incontrato la statua in una chiesa in cui era entrato casualmente - chi scrive lo invocò per tre anni (sbagliando clamorosamente) col nome di sant’Elpidio (quello di Porto sant’Elpidio, nelle Marche), ma lui non se ne ebbe mai a male. Anzi, trovandosi probabilmente con molto tempo libero, sovvenne puntualmente a tutte le necessità di chi lo pregava. Fosse stato google avrebbe proposto una correzione. Lui no. Sapeva di essere lui e interveniva con la consueta, squisita premura.

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