Padre e figlio di Ciserano in canoa sul Po fino al Mar Adriatico
Il racconto dell'impresa immersi nella natura che ha unito Marco Aber, florovivaista di 31 anni, e il padre Diego di 61
«Papà, ho un’idea da proporti: prendiamo una settimana di ferie e ci facciamo il Po in canoa». Davanti a una richiesta del genere la maggior parte di noi avrebbe risposto: «Ma tu sei fuori di testa».
Ed è, effettivamente, ciò che ha risposto Diego Aber, ciseranese di 61 anni, al figlio Marco, di 31, quando nell’ottobre del 2022 ha ricevuto la sua telefonata. Il 29 agosto 2023, alle 5 del mattino, erano pronti a partire: destinazione San Mauro Torinese, da dove poi sarebbe iniziata la loro avventura in canoa lungo il Po, fino al Mar Adriatico. Un viaggio nella natura che padre e figlio hanno raccontato ai colleghi di PrimaTreviglio.
L'idea del viaggio
«Passando per lavoro sul Po (Marco è florovivaista, coadiuvante nell’azienda di famiglia “Azienda agricola Morotti” di Martinengo, ndr), alla vista di quell’enorme fiume si è accesa in me la nostalgia e la voglia di rivivere un vecchio viaggio fatto nell’Amazzonia venezuelana sul fiume Orinoco - ha raccontato Marco - Questo mi ha portato a sognare di percorrere il Po in autonomia, campeggiando sulle sponde del fiume e solo una persona avrebbe potuto condividere con me questa spedizione: mio padre».
E aveva ragione. Diego Aber, impiegato all’A2A di Cassano d’Adda, non poteva resistere al richiamo del fiume - con cui aveva già un rapporto personale intenso - e della natura. Così, quella mattina di agosto, dopo un weekend di temporali fortissimi, che avevano fatto alzare il livello dell’acqua di oltre due metri rispetto alla settimana precedente, sono partiti "canoa in spalla".
Un viaggio faticoso
«L’inizio è stato difficoltoso, il fiume era in piena e la corrente era forte - ha raccontato ancora Marco - ci siamo trovati in mezzo alle rapide. Spaventati e sempre all’erta, abbiamo proceduto a zig-zag ascoltando costantemente il rumore dell’acqua in lontananza, per cercare di percorrere i tratti di fiume più tranquilli».
Tra rocce che affioravano, tronchi che galleggiavano e l’acqua fangosa sono trascorse sette ore fino al primo sbarramento a Chivasso. Undici giorni - tanto è durata la traversata - durante i quali, padre e figlio, hanno potuto vivere a stretto contatto con la natura e riscoprire la gentilezza, l’accoglienza e il sostegno delle persone che hanno incontrato sul loro cammino. L’offerta di un panino, di un caffè o una birra, un posto dove lavarsi: comodità di tutti i giorni che tendiamo a dare per scontato.
L'arrivo al mare
E intanto si continua a pagaiare, nonostante la fatica, il vento assente o contrario, il caldo, i dolori e la stanchezza. Casale Monferrato, poi il pavese fino al ponte della Becca dove il Ticino confluisce con il Po. E poi San Nazzaro - dove una gara di barche li costringe a superare subito lo sbarramento a piedi trascinando le canoe, dopo una giornata durissima - e il giorno seguente fino a Casalmaggiore. La stanchezza inizia a farsi sentire, ma nonostante i dolori e le mani che formicolano spesso i due continuano a macinare chilometri sotto il sole.
Il 7 settembre a svegliarli è un’alba meravigliosa. «Verso mezzogiorno siamo arrivati alle porte del delta del Po - ha continuato - L’indomani ci aspettavano poche ore prima dell’arrivo al mare». Lo raggiungono nella mattinata dell’8 settembre: salutano le palafitte di legno usate dai pescatori e il canale che li conduce al mare. Davanti a loro si staglia il faro e poi l’orizzonte. «Nel vederlo mi ha attraversato un brivido di felicità che mi ha dato la forza di pagaiare ancora più forte - ha ripercorso con la memoria il 31enne - Ed eccolo lì. Il mare aperto».
Un'avventura indimenticabile
«Un’avventura come questa ti regala un forte senso di isolamento che veniva interrotto solo dai ponti che attraversano il fiume e che ogni volta ci riportavano alla realtà - ha aggiunto il padre Diego - Resti tu, a contatto con la natura, con te stesso e con i valori veri che ci siamo ormai dimenticati». Un viaggio fatto di albe e tramonti che si rincorrono, di visi sconosciuti che diventano amici, di buon cibo e notti in tenda, di muscoli che bruciano e lacrime agli occhi.
«Questa avventura rimarrà un ricordo indelebile nella mia mente - ha concluso Marco - per il tempo e l’esperienza condivisa con mio padre, che è per me la cosa più importante, per le persone cordiali che hanno sostenuto e valorizzato la nostra impresa e per aver potuto vivere undici giorni a stretto contatto con la natura».