Alla Gmg di Cracovia

La ragazza bergamasca, i bulli e la risposta che le ha dato il Papa

La ragazza bergamasca, i bulli e la risposta che le ha dato il Papa
Pubblicato:
Aggiornato:

Mercoledì 27 luglio, appena sbarcato a Cracovia, Papa Francesco ha dialogato nell’arcivescovado della città polacca con alcuni giovani italiani. Fra questi c’era Andrea, una quindicenne bergamasca di origine rumena, che ha posto una domanda al pontefice dopo aver raccontato della sua difficoltà a integrarsi in un Paese diverso da quello di provenienza. Pubblichiamo la testimonianza della ragazza e la risposta del Santo Padre.

Viaggio Apostolico Polonia GMG-Veglia di Preghiera con i gio
Foto 1 di 4
Viaggio Apostolico Polonia GMG-Veglia di Preghiera con i gio
Foto 2 di 4
Viaggio Apostolico Polonia GMG-Veglia di Preghiera con i gio
Foto 3 di 4
Viaggio Apostolico Polonia GMG-Veglia di Preghiera con i gio
Foto 4 di 4

Caro Papa Francesco,

mi chiamo Andrea, ho 15 anni e vengo da Bergamo. Sono arrivata in Italia quando avevo 9 anni, quindi circa sei anni fa. Hanno incominciato, i ragazzini della mia classe, a prendermi in giro, dato che ero appena arrivata, con parole abbastanza offensive. All’inizio, non comprendendo bene l’italiano, non capivo le parole, quindi lasciavo anche stare. Poi, una volta che ho iniziato a comprenderle, ci rimasi davvero male, però non risposi: non volevo abbassarmi ai loro livelli. Così ho passato tanti anni, fino alla fine della terza media, quando hanno superato il limite con tutti i messaggi offensivi sui social, per cui praticamente mi sentivo inutile e avevo deciso di farla finita, perché secondo me in quel momento non contavo più niente e io mi sentivo emarginata da tutti, dal mio paesino. …E quindi avevo deciso di farla finita, ho provato a suicidarmi.

Non ci riuscii, così andai in ospedale. E lì avevo capito che non ero io, quella malata, che non ero io quella che aveva bisogno di cure, che non meritavo io di stare lì in ospedale, chiusa. Erano loro che avevano sbagliato, loro che avevano bisogno di essere curati, non io. Così io mi tirai su e decisi di non farla finita perché non ne valeva la pena, perché io potevo essere forte. E infatti ora sto bene e sono forte davvero. E posso, da una parte, anche ringraziarmi di avere trattato così male me stessa, perché comunque ora io sono forte, un po’ anche grazie a loro, perché mi hanno messa in quella situazione. Io sono diventata forte perché ho creduto in me stessa, nei miei genitori, e comunque ho creduto di potercela fare, e infatti ce l’ho fatta. E sono qua, e sono fiera di essere qua.
Io volevo chiederLe: dato che comunque un po’ io li ho perdonati, perché non voglio odiare nessuno, un po’ li ho perdonati, però comunque un po’ ci sto ancora male... volevo chiederLe: come faccio io a perdonare queste persone? Come faccio a perdonarle per tutto quello che loro mi hanno fatto?

 

>>>/ IL PAPA AI GIOVANI, NON FATEVI ANESTETIZZARE L'ANIMA

Papa Francesco. Grazie della tua testimonianza. Tu parli di un problema molto comune tra i bambini e anche tra le persone che non sono bambini: la crudeltà. Ma guarda che anche i bambini sono crudeli, alle volte, e hanno quella capacità di ferirti dove più ti faranno male: di ferirti il cuore, di ferirti la dignità, di ferirti anche la nazionalità, come è il tuo caso, no? Non capivi bene l’italiano e ti prendevano in giro con la lingua, con le parole... La crudeltà è un atteggiamento umano che è proprio alla base di tutte le guerre, di tutte. La crudeltà che non lascia crescere l’altro, la crudeltà che uccide l’altro, la crudeltà che uccide anche il buon nome di un’altra persona. Quando una persona chiacchiera contro un’altra, questo è crudele: è crudele perché distrugge la fama della persona. Ma, tu sai, a me piace dire un’espressione quando parlo di questa crudeltà della lingua: le chiacchiere sono un terrorismo; è il terrorismo delle chiacchiere. La crudeltà della lingua, o quella che tu hai sentito, è come buttare una bomba che distrugge te o distrugge chiunque, e quello che la butta non si distrugge. Questo è un terrorismo, è una cosa che noi dobbiamo vincere.

Come si vince questo? Tu hai scelto la strada giusta: il silenzio, la pazienza e hai finito con quella parola tanto bella: il perdono. Ma perdonare non è facile, perché uno può dire: «Sì, io perdono ma non mi dimentico». E tu sempre porterai con te questa crudeltà, questo terrorismo delle parole brutte, delle parole che feriscono e che cercano di buttarti fuori dalla comunità. C’è una parola in italiano che io non conoscevo. Quando sono venuto le prime volte, qui in Italia, l’ho imparato: “extracomunitari”, che si dice delle persone di altri Paesi che vengono a vivere da noi. Ma proprio questa crudeltà è quello che fa sì che tu, che sei di un altro Paese, diventi un “extra-comunitario”: ti portano via dalla comunità, non ti accolgono. Che è una cosa contro la quale dobbiamo lottare tanto. Tu sei stata coraggiosa! Sei stata molto coraggiosa in questo. Ma bisogna lottare contro questo terrorismo della lingua, contro questo terrorismo delle chiacchiere, degli insulti, del cacciare via la gente, sì, con insulti o dicendo loro cose che fanno loro male al cuore.

Si può perdonare totalmente? È una grazia che dobbiamo chiedere al Signore. Noi, da noi stessi, noi non possiamo: facciamo lo sforzo, tu lo hai fatto; ma è una grazia che ti dà il Signore, il perdono, di perdonare il nemico, perdonare quello che ti ha ferito, quello che ti ha fatto del male. Quando Gesù nel Vangelo ci dice: “Chi ti dà uno schiaffo su una guancia, dagli l’altra”, significa questo: lasciare nelle mani del Signore questa saggezza del perdono, che è una grazia. Ma a noi spetta fare tutta la nostra parte per perdonare. Ti ringrazio della tua testimonianza. E c’è anche un altro atteggiamento che va proprio contro questo terrorismo della lingua, siano le chiacchiere, gli insulti e tutto questo: è l’atteggiamento della mitezza. Stare zitto, trattare bene gli altri, non rispondere con un’altra cosa brutta. Come Gesù: Gesù era mite di cuore. La mitezza. E noi viviamo in un mondo dove a un insulto tu rispondi con un altro, è abituale questo. Ci insultiamo l’uno con l’altro, e ci manca la mitezza. Chiedere la grazia della mitezza, la mitezza di cuore. E lì è anche una grazia che apre la strada al perdono.

Seguici sui nostri canali