La storia del Cristo del Quater che veglia sugli operai alla Dalmine
«Quando l’ho visto in fondo al cassone, tra i rottami, nel vagone al Laminatoio Quattro, ho chiesto: “Cosa ci fai lì”?» Quella notte di 25 anni fa ci fu l’incontro tra un tecnico di laminatoio della Dalmine, Roberto Esborni, e un crocifisso, da allora denominato «Il Cristo del Quater». Un simbolo sacro che da quel momento non ha più lasciato la fabbrica e ancora oggi veglia sul lavoro dei metalmeccanici della grande acciaieria, che lo hanno «adottato». Li fa sentire sicuri, protetti dagli incidenti. Perché sembra che quel crocifisso conosca bene la vita dei reparti, la fatica, la competenza che serve per svolgere al meglio le proprie mansioni.
Nella voce di Roberto c’è una tenerezza infinita quando ricorda la notte del ritrovamento. «Facevo la settimana del terzo turno, dalle 22 alle 6 e stavo svuotando un cassone all’interno di un vagone fermo sul binario al Laminatoio Quattro - racconta - Quando realizziamo le produzioni, tagliamo le estremità dei tubi per sgrezzarli e gli scarti vengono depositati nei vagoni ferroviari che poi arrivano alle acciaierie e vengono riciclati. Mentre sollevavo i rottami, sul fondo, ho visto questo Cristo». Chissà come ci è finito dentro quel cassone, chissà da dove arrivava quella statua, chissà chi ha deciso di buttarla via così. Se l’è chiesto tante volte Roberto: «Probabilmente arrivava dall’esterno. Quelli erano vagoni che non giravano solamente all’interno dello stabilimento, ma venivano utilizzati anche sulla normale ferrovia».
Quando ha visto la statua, Esborni non ha avuto il coraggio di lasciarla dov’era: «Così l’ho agganciata con la gru e l’ho tirata fuori insieme a un mio collega». Una volta liberato da quelle macerie di metallo, i due operai hanno visto che al Cristo mancava un braccio, era privo della croce e aveva una particolarità: «I piedi non erano sovrapposti, come nelle raffigurazioni tradizionali, ma erano allineati. Abbiamo scoperto poi che nell’iconografia ebraica viene raffigurato così. Era alto circa un metro e largo 70-80 centimetri, realizzato probabilmente con una lega di bronzo. L’ho sistemato provvisoriamente in un recinto dove ci sono gli attrezzisti».
E lì è stato notato da Evaristo Paris, un attrezzista con una vena artistica, che ha deciso di intervenire sulla statua realizzando il braccio mancante, legato poi alla statua con una benda per ricordare la menomazione del ritrovamento. Roberto e i suoi colleghi si sono dati da fare per ricostruire la croce: «L’abbiamo realizzata con le assi di legno adibite allo stoccaggio dei tubi e, una volta sistemato, abbiamo appeso il crocifisso nel recinto attrezzisti Expander-LR10, dove si trova ancora oggi».
Ora Esborni, che ha 56 anni, è stato spostato in un altro reparto ma confessa che ogni tanto passa a vedere il «suo» Cristo del Quater, al quale è comprensibilmente affezionato: «Vederlo nel cassone era uno sfregio, l’ho riportato dove doveva stare. Ci protegge, dà un occhio agli operai impiegati in fabbrica». Lui ha trascorso una vita nello stabilimento, che dà da mangiare alla sua famiglia da ben tre generazioni: «Ci lavoro da 31 anni, ci ha lavorato mio padre e prima di lui mio nonno, che era emigrato in Germania, era operaio alla Mannesmann. Quando poi l’azienda ha aperto la Dalmine, l’hanno fatto tornare in Italia e l’hanno impiegato lì».
Il Cristo del Quater da 25 anni veglia sulla fabbrica, sulla vita dei operai, così come le altre santelle presenti nei vari reparti. Accanto a queste ci sono le fotografie e i nomi dei lavoratori che hanno perso la vita durante il bombardamento del 6 luglio 1944.