L'arte dei ragazzi (anche bergamaschi) dell'Atelier dell'Errore si prende Milano
Il 5 luglio esordiranno a pieno titolo come artisti esponendo in quella che è probabilmente la più importante galleria italiana, la Galleria di Massimo De Carlo
di Giuseppe Frangi
È un’estate di fuoco quella dei ragazzi dell’Atelier dell’Errore. A inizio giugno hanno presentato una performance con l’orchestra del maestro Mario Brunello al teatro Comunale di Bologna. Il 5 luglio esordiranno a pieno titolo come artisti esponendo a Milano in quella che oggi è probabilmente la più importante galleria italiana, la Galleria di Massimo De Carlo.
Dire Atelier dell’Errore è dire per una buona dose Bergamo. Qui è nato infatti l’iniziatore di questa straordinario laboratorio artistico per ragazzi con disabilità mentali, Luca Santiago Mora, classe 1964. Era fotografo e videomaker fino al giorno in cui si è imbattuto nell’esperienza dei ragazzi della neuropsichiatria infantile della Ausl di Reggio Emilia. Da quel giorno la sua vita è stata in pratica ribaltata, perché Luca Santiago ha intravisto in quei ragazzi delle potenzialità che nessuno aveva immaginato. Da Reggio ha esportato l’esperienza anche a Bergamo.
Il suo criterio era semplice: un’assoluta convinzione che attraverso il disegno si potessero liberare delle energie inimmaginabili. La sfida era quella di portare quei ragazzini dall’equilibrio fragile e scombussolato a darsi una disciplina, semplice ma rigorosa: proibito cancellare e proibito darsi limiti. In sostanza, bisognava sempre credere in quel che si aveva iniziato. È una determinazione che è diventato un modus vivendi all’interno di quelle ore davvero fuori dall’ordinario vissute nell’atelier. Che è stato presto ribattezzato Atelier dell’Errore, proprio per rivendicare il fatto che il proprio “essere sbagliati” non è necessariamente un limite. Anzi, può essere un fattore di forza. Nel 2015 all’Atelier reggiano/bergamasco è arrivato anche il più importante dei riconoscimenti, l’Euward 6, art in disability, consegnato a Monaco a una delle allieve, Giulia Zini.
Restava un grande ostacolo: la barriera dei 18 anni. Passata quell’età i ragazzi uscivano dalle competenze delle Neuropsichiatria infantile e non potevano più frequentare l’Atelier. L’unica via di uscita era quello di dare il via a un’esperienza nuova, in mare aperto, fuori dall’ombrello dell’istituzione sanitaria. C’era bisogno anche di un luogo dove prendere casa. L’incontro con la realtà imprenditoriale reggiana della famiglia Maramotti, quella titolare del marchio Max Mara, è stato provvidenziale: grandi collezionisti di arte contemporanea, hanno accolto il nuovo atelier Big, proprio all’interno della collezione (che è una delle più importanti d’Italia ed è aperta al pubblico).
AdE Big si è costituito in forma cooperativa, assumendo il profilo di impresa sociale. Per dieci ragazzi (di cui due vengono ogni settimana da Bergamo) è diventato un lavoro a tutti gli effetti, con contratto part time. L’organizzazione è come quella di una bottega rinascimentale, dove tutti si lavora sui medesimi progetti, ciascuno con un proprio ruolo: c’è chi disegna, chi crea gli straordinari titoli, chi mette le dorature, chi prepara le tele con processi sempre più sofisticati.
Il risultato è quello che si può ammirare negli spazi nobili di Palazzo Belgioioso a Milano, dove la Galleria Massimo De Carlo ha una delle sue sedi espositive: per la prima volta, l’Atelier ha scelto di vendere le opere esposte per dare una solidità al progetto che per i dieci ragazzi è diventato un’inattesa prospettiva che ha cambiato le loro vite (e anche quelle delle loro famiglie).
Nel frattempo, l’Atelier ha allargato il suo raggio d’azione: i fantastici animali disegnati (Golilla Madredipella, Catoblepa Occhi Luminosi, Pirottico Ferrocito, Piotruco che guarda le femmine, Piraostre Elegante, Cerva Di Santo Eustachio Gesù Infinito) sono diventate delle creature vive nei loro corpi di formidabili performer. Proprio uno dei bergamaschi del gruppo, Matteo Morescalchi, è stata la sorprendente star al Teatro Comunale di Bologna, dove ha impersonato con una forza impressionante che ha “inchiodato” tutta la platea il personaggio di Tiresia, il tragico indovino nella mitologia classica. Matteo è affetto dalla sindrome di Asperger. L’orgoglio e la consapevolezza con le quali si è presentato per raccogliere gli applausi a fine spettacolo sono la prova di come l’arte possa liberare da tante catene e pregiudizi.