Come sono cambiate le nuove generazioni

Il lato positivo dei giovani di oggi

Il lato positivo dei giovani di oggi
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Era il 2012, l’America iniziava a rialzare (a differenza nostra) la testa da una crisi finanziaria che ha completamente cambiato il modo di intendere il concetto di guadagno e di possesso, e il sito The Atlantic pubblicava un’interessante analisi riguardante la generazione dei Millennials, cioè i giovani, di età compresa tra i 20 e i 35 anni, che stanno costruendo il loro futuro negli anni del nuovo Millennio. I giornalisti Derek Thompson e Jordan Weissmann, in particolare, spiegavano perché queste nuove generazioni non comprano più case e auto e cosa ciò poteva significare per l’economia nazionale. Domande che, oggi più che mai, valgono anche per la situazione dei giovani italiani, sempre più alle prese con una crisi che non allenta la sua morsa, una disoccupazione dilagante e il rischio di veder intere generazioni completamente lanciate verso il domani senza alcuna rotta da seguire.

 

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Dal possesso alla condivisione. La risposta più banale, ma anche forse più vera, che si danno quelli di The Atlantic e che ci diamo anche noi oggi, è che i giovani del 2000, a differenza dei loro genitori una ventina di anni prima, non hanno più la forza economica per poter investire sul possesso, inteso in maniera lata: dalla proprietà auto all'acquisto della casa. Non è un caso che 9 Millennials su 10 affermino di desiderare una casa, ma di non potersela permettere. Allo stesso tempo, però, ben oltre il 50% dei giovani intervistati, ammette anche che, ad esempio, l’auto non è più un desiderio ricorrente. Lo sono molto di più i dispositivi tecnologici, in particolare gli smartphone. Il concetto, dunque, è che la crisi ha certamente influito, ma che anche i desideri dei giovani e la loro visione del mondo sia cambiata, forse proprio come conseguenza di oltre 6 anni di difficoltà. I Millennials, vuoi per necessità, vuoi per moda, vuoi per volontà, hanno traslato la loro visione del mondo dal possesso alla condivisione. Aumenta la diffusione, nelle grandi città italiane, del bike-sharing e del car-sharing, ma anche il numero di trentenni che, una volta finita l’Università e trovato lavoro, preferiscono continuare a vivere con dei coinquilini, condividendo con loro le spese, ma anche le esperienze di vita.

 

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Gli americani ci sono già passati. Questo totale cambio di prospettive, in America, l’hanno vissuto due anni fa, come riporta per l’appunto The Atlantic. Il sito spiegava allora che, nel 2010, gli adulti fra i 21 e i 34 anni avevano comprato solo il 27% dei nuovi veicoli disponibili negli Stati Uniti: il 38% in meno rispetto al 1985. La percentuale di adolescenti con la patente era diminuita del 28% tra il 1998 e il 2008. I giornalisti commentavano: «La Grande Recessione è responsabile del declino ma è possibile che la nuova generazione semplicemente abbia deciso di spendere i propri soldi in modo diverso dalle precedenti». Nel frattempo, a crescere, sono state società come Zipcar, azienda nata per un’attività di car-sharing: creata nel 2000, quando neppure esistevano gli iPhone, è diventata la compagnia di car-sharing più grande al mondo con oltre 700mila membri. È nata così la generazione della “sharing economy”, l’economia della condivisione, che tramite la tecnologia permette di scegliere a distanza macchine, stanze e anche vestiti. Oggi, con il tipico ritardo made in Italy, ci stiamo arrivando anche noi, con Roma e soprattutto Milano che hanno aperto le proprie porte, con successo, ai mezzi di trasporto condivisi. E anche Bergamo pare che nei prossimi anni si convertirà, seppur in piccola parte, all’economia condivisa del trasporto.

The Atlantic si soffermava anche sul modo diverso che le nuove generazioni avevano di intendere le abitazioni. Al di là del possesso, che per questioni economiche resta ancora, anche là, un sogno per tanti, ad essere cambiata era la visione della casa: non più isolata, magari grande e con ampi spazi a disposizione, bensì pratica, minimalista, integrata nell’urbanità circostante, connessa alle aree di socializzazione. Non a caso le grandi imprese edilizie americane, nell’ultimo quinquennio, hanno abbandonato, in parte, il mercato dei piccoli quartieri per bene, per dedicarsi invece alla costruzione, praticamente da zero, di nuovi centri abitati che rispecchino le caratteristiche appena esposte. Sono così nate aree come Culver City, in California, o Evanston, in Illinois, dove begli appartamenti sono a pochi passi da negozi, ristoranti, uffici, dove l’uso dell’auto è praticamente inutile data la forza del servizio di trasporto pubblico e la presenza di car-sharing e bike-sharing. L’Italia è ancora lontana da tutto questo, ma i dati parlano di giovani che, a dispetto del passato, invece di allontanarsi dalle città, tornano a viverci o, comunque, desiderano viverci, accettando il compromesso di aver meno spazi a disposizione pur di poter aver contatti costanti con chi ci circonda.

 

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Cosa significa tutto questo? Se i Millennials continuassero a spingere la nostra società a vivere connessa e a condividere tutto, questo potrebbe portare a qualcosa di molto più grande di un semplice rinnovamento della cultura consumistica occidentale: potrebbe creare il fondamento economico dei prossimi anni a venire. Sì, perché l’industria automobilistica e l’industria edilizia, cioè due vettori fondamentali di ogni grande economia, si troverebbero costrette a cambiare totalmente modo di pensare e di lavorare, cosa che, in parte, sta già avvenendo. Il passaggio dal “possesso” alla “condivisione”, avvenuto in America tra il 2010 e il 2012 e in corso proprio in questo momento anche nel nostro Paese, è indubbiamente dovuto alla recessione e alla crisi, ma è anche un riflesso, sul mondo reale, della perenne connessione tecnologica delle nuove generazioni. Condividere emozioni, pensieri, foto ed esperienze sul web porta non solo a conseguenze negative (che pur possono esistere), ma anche a offrire, ai giovani, un nuovo punto di vista nella vita di tutti i giorni.

Tutto questo porta anche ad un risparmio economico che oggi, quando i giovani hanno decisamente pochi soldi in tasca, è necessario per sopravvivere, ma che, in un futuro ipoteticamente (e speriamo) migliore, può anche portare le nuove generazioni ad investire in altre forme economiche che non siano il mero possesso, come l’educazione o l’imprenditoria tecnologica. Del resto la ricchezza non dipende solo dalle singole qualità ma anche dalla capacità di prendere idee da chi ci circonda e non c’è società migliore per fare in modo che ciò accada se non quella odierna, costantemente tesa alla condivisione e alla connettività.

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