Leucemia linfoblastica, uno studio rivela l'efficacia delle cellule "Carcik": ha partecipato anche l'ospedale di Bergamo
Pubblicato sulla rivista Blood Cancer Journal, è stato condotto insieme alla Fondazione Tettamanti, evidenziando nuove opportunità di cura

Un passo avanti nel trattamento delle leucemie: uno studio clinico condotto dalla Fondazione Tettamanti e dall'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo ha dimostrato l’efficacia e l’elevata tollerabilità delle cellule “Carcik” ottenute da donatori sani, nel trattamento di 36 pazienti con leucemia linfoblastica acuta di tipo B con ricaduta di malattia dopo il trapianto di cellule staminali ematopoietiche da donatore. Le Carcik sono linfociti T modificati geneticamente in laboratorio affinché, una volta infusi nei pazienti, siano in grado di aggredire le cellule tumorali.
Remissione nell'83 per cento dei casi
Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Blood Cancer Journal, ha messo in evidenza, in un campione di pazienti con una forma di leucemia altamente aggressiva e resistente a tutte le terapie disponibili, una remissione di malattia nell’83 per cento dei casi, con una sopravvivenza generale del 57 per cento a un anno dal trattamento (del 32 per cento libera da malattia).
La ricerca, resa possibile anche grazie al sostegno di Fondazione Airc per la ricerca sul cancro, Ministero della Salute, Agenzia Italiana del Farmaco e Regione Lombardia, rappresenta un ulteriore passo in avanti nel trattamento delle leucemie attraverso le cellule Carcik (Chimeric Antigen Receptor Cytokine Induced Killer), al cui sviluppo la Fondazione Tettamanti lavora dal 2015.
L’approccio terapeutico con le Carcik rappresenta un metodo terapeutico avanzato per trattare alcune tra le forme più aggressive di leucemia. I linfociti T, cellule del sistema immunitario, sono prelevati da un donatore compatibile con il paziente e modificati geneticamente in laboratorio affinché possano esprimere sulla loro superficie recettori artificiali (detti chimerici in quanto ibridi e non presenti in natura), proteine che funzionano come radar capaci di riconoscere, come elementi estranei e pericolosi, particolari bersagli sulle cellule tumorali (gli antigeni). Ciò permette alle cellule Car di aggredire e uccidere le cellule malate, favorendo la secrezione di citochine, molecole essenziali per la risposta immunitaria.

Il tumore più frequente fino ai 14 anni
Con oltre 400 nuove diagnosi ogni anno, la leucemia linfoblastica acuta è il tumore più frequente in età pediatrica (fino a 14 anni) e può essere di tipo B o T a seconda della tipologia di linfociti (cellule del sangue impegnate nella risposta immunitaria) da cui ha origine. La leucemia linfoblastica acuta di tipo B, al centro dello studio condotto da Fondazione Tettamanti e ospedale Papa Giovanni XXIII, rappresenta il circa l’80 per cento delle nuove diagnosi.
«Nel corso degli ultimi anni, i risultati terapeutici nella Leucemia Acuta Linfoblastica hanno registrato progressi formidabili, che fortunatamente non si sono limitati ai pazienti pediatrici, ma si sono documentati anche in quelli di età superiore a 18 anni», ha spiegato Alessandro Rambaldi, direttore del Dipartimento di oncologia ed ematologia dell'Asst Papa Giovanni XXIII di Bergamo
«Tuttavia, una quota ancora significativa di pazienti ha necessità di un trapianto di cellule staminali allogeniche dopo il quale, si deve ancora registrare una recidiva di malattia nel 20-40 per cento dei casi. Questi sono i pazienti per i quali gli studi con cellule Carcik allogeniche sono stati disegnati e condotti nel corso di questi anni e va sottolineato che prima del trattamento con cellule Carcik tutti i pazienti erano ricaduti dopo uno o due trapianti allogenici (nel 25 per cento)».
«La terapia con cellule Carcik - conclude - ha ottenuto una remissione completa ematologica di malattia nell’83 per cento dei pazienti e tra questi la risposta era molecolare nell’89 per cento. Con un periodo di osservazione mediano di 2,2 anni la percentuale di sopravvivenza a 1 anno è stata del 57 per cento. Nei 17 pazienti che prima della terapia sperimentale avevano ricevuto un solo trapianto allogenico e avevano ridotto la quota di malattia leucemica midollare sotto al 5 per cento, la mediana di sopravvivenza non è stata ancora raggiunta e a tre anni è pari al 58 per cento».