A lezione di architettura da Milano Aspettando i progetti a Bergamo

Bergamo si appresta a una nuova stagione di grandi progetti, che ridisegneranno alcune parti di città. Benché sospeso, il progetto di trasformazione dello scalo ferroviario, in seguito al declino di “Porta Sud”, alcuni altri importanti progetti dovrebbero concretizzarsi a breve. L’ex caserma Montelungo, l’area ex OTE con il nuovo Palazzetto dello sport e la ristrutturazione dello Stadio sono iniziative che hanno una forte responsabilità sociale, perché dovranno confrontarsi con “situazioni al contorno” che hanno bisogno di essere ridefinite: non si tratta solo di episodi di architettura, ma della possibilità di ri-generazione di interi quartieri. La città deve avere una strategia complessiva all’interno della quale questi progetti siano in qualche modo strutturali e non episodi autoreferenziali. Per avere un’idea più chiara dei processi di trasformazione può essere utile approfondire la lezione milanese.
La recente trasformazione urbana di Milano gode, generalmente, di una critica favorevole quando non dichiaratamente entusiasta. I grandi progetti di Garibaldi-Repubblica, City Life e Rho Fiera, ci hanno consegnato una città probabilmente più europea e internazionale; se il parametro utilizzato per avvalorare questa internazionalizzazione della città è il numero dei nuovi grattacieli, piuttosto che la presenza di architetti internazionali, allora Milano è oggi una città più europea. Ha il suo nuovo Downtown (Garibaldi–Repubblica), gli edifici firmati (City Life) e c’è la messa in scena dell’architettura spettacolare così come la si trova a Eindhoven, Amburgo, Lione.
Milano vista da Città Alta ©BergamoPost/Mario Rota
Una perdità di specificità e carattere. Sono episodi di architettura realizzati quasi casualmente a Milano, ma che sarebbero potuti essere costruiti ovunque. Per attirare investimenti internazionali, soprattutto fondi d’investimento, si ricorre a prodotti (architetture) già largamente realizzati e senza alcuna esigenza d’innovazione. Anzi, per il Management Board di una qualsiasi compagnia internazionale, il ricorso a un “prodotto generico” è sinonimo di minor rischio imprenditoriale e quindi visto con assoluto interesse. Questa perdita di specificità è stata assorbita in un tempo molto breve. È come se la città, reclamando il disperato bisogno di recuperare un ritardo strutturale con le altre città europee, abbia in qualche modo dimenticato il proprio carattere.
I progetti vincenti. Un’amnesia collettiva ha di colpo cancellato la ricerca di BBPR, il lavoro di Gio Ponti e la stagione di Rossi, pensando che fosse più vincente e convincente ricorrere a forze, e finanze, esterne. Milano certo non può vantare una scuola milanese al pari della scuola di Porto o di quella di Rotterdam e Delft, ma è una città con una forte tradizione di trasformazioni urbane e sapienti sperimentazioni architettoniche. Tra quelle recenti, due sono nettamente convincenti: la Fondazione Prada (OMA) e la Fondazione Feltrinelli (H&dM). Sono paradigmi di come l’architettura, e il programma, possano essere elementi di rigenerazione sia di aree periferiche, sia di aree con più condensato storico. Il fatto che siano entrambi sedi di fondazioni non è casuale, bensì causale: nessun progetto può prescindere da una dialettica costruttiva tra committente e progettista, ed è facile intuire come le due fondazioni abbiano al loro interno forti personalità capaci di tale dialettica.
La nuova sede della Fondazione Feltrinelli. Con la realizzazione della Fondazione Feltrinelli, Herzog & de Meuron rendono il più convincente omaggio al loro maestro Aldo Rossi (con cui si laureano a Zurigo nel ’74) proprio nella sua città. Rossi scrive L’Architettura della Città nel ’66, a soli 35 anni; un testo monumentale in cui c’è già tutto il condensato teorico di ciò che realizzerà più tardi. Credo che la Fondazione Feltrinelli sia il prodotto più riuscito del pensiero rossiano, pur essendo, almeno da un punto di vista formale, alquanto distante. Paradossalmente, il maggior ostacolo alle tesi di Aldo Rossi è stata la sua stessa traduzione in architettura, dove l’iconografia postmoderna ha prevalso sul pensiero critico. Con la Fondazione Feltrinelli, Herzog & de Meuron testimoniano come la città, l’artefatto urbano, sia da intendersi come opera d’arte in sé.
Se la Città è qualcosa che persiste anche attraverso le proprie trasformazioni e la memoria ne è la coscienza, è evidente come per evocare il tratto dei Bastioni Spagnoli ormai perduti non sia sufficiente riprenderne il sedime. Non c’è alcun bisogno di riprodurre l’immagine letterale dei Bastioni per ricostruirne la memoria. La Fondazione Feltrinelli è un elegante sistema di ripetizione del modulo strutturale che di fatto permette di tenere visivamente assieme il dentro e il fuori le mura, le due parti della stessa città. È una sorta di diaframma che si chiude e si apre a seconda di come lo si guardi. In questo caso la ripetizione del modulo strutturale è di fatto una tecnica di composizione: la ripetizione è intesa come ciò che può produrre differenza attraverso la creazione di un ritmo e quindi, di conseguenza, di uno spazio. Dei Bastioni il progetto riscopre l’idea della passeggiata sopra le mura (alla metà del Settecento, i bastioni fungevano da belvedere panoramico): camminando ai piani superiori del l’edificio, o meglio del complesso architettonico, la vista si sposta dalla città ai tetti e alle chiome degli alberi. Probabilmente in modo molto simile a ciò che si sarebbe visto percorrendo la promenade sopra i Bastioni.
In ogni caso non c’è alcuna nostalgia in questo progetto. C’è la consapevolezza dell’unicità della città (contro l’affermazione ormai globalizzata della città generica) e l’assunzione di responsabilità politica (nell’accezione originaria dell’etimo, ciò che si riferisce alla Polis, alla città, allo spazio della collettività) dell’architetto nella trasformazione urbana. Non è necessario essere estimatori di Aldo Rossi come architetto, per riconoscere come L’Architettura della Città sia, oggi, quanto mai necessaria.