Luisa, che per il suo 50esimo compleanno si è regalata una maratona
Tecnico amministrativo all’Università degli Studi di Bergamo, con tre figli a cavallo fra l’adolescenza e i videogame, si è data alla corsa. E che corsa
di Marco Oldrati
Quando si tratta di correre non c’è nessuna differenza fra uomo e donna, i chilometri sono gli stessi per tutti: per questo è decisamente sciocco stupirsi se una donna corre, ma tant’è, noi maschietti siamo fatti così. Per cui quando è cominciata a girare la voce che Luisa era diventata una runner io e altri compagni di liceo ci siamo guardati un po’ perplessi e – come è giusto che sia – siamo stati smentiti dai fatti.
Quando ci si incontra sui banchi di scuola difficilmente si possono fare previsioni sul futuro, tanto più su quali saranno i modi e le occasioni per incontrarsi di nuovo. Così quando al ginnasio io sono un piede a banana a calcio e mi do al basket (anche lì con risultati modesti), mai e poi mai penserei di ritrovarmi a dare consigli su come correre la maratona alla mia compagna di banco Luisa Bonicelli e invece tant’è…
Luisa ha una cosa che tutti quelli che corrono devono avere: totale mancanza di realismo. Cominciare a correre a quasi cinquant’anni è sicuramente un’idea che non affonda le basi su un’accurata analisi delle risorse in campo e una valutazione programmatica fondata su elementi certi e fasi di verifica. Vi verranno a dire che esistono i test di Conconi e le tabelle di allenamento, ma se una persona come Luisa decide una cosa del genere non lo fa perché glie l’ha detto il computer, lo fa perché se lo sente nel cuore.
Così, una “sarpina” oggi tecnico amministrativo all’Università degli Studi di Bergamo, con tre figli a cavallo fra l’adolescenza e i videogame e quindi una vita fatta di taxismo a scarrozzare in giro la prole fra scuola, impegni pomeridiani e altro ancora, decide di infilare le scarpette e mettersi in gioco. E che gioco!
Ha già fatto la Sarnico-Lovere due anni fa, ma il suo “ballo delle debuttanti” in vista delle lunghe distanze è nientemeno che la Cortina-Dobbiaco e quando me lo rivela, io dentro di me ricordo di averla fatta, sì, ma con gli sci di fondo e nel senso opposto: da Dobbiaco a Carbonin in leggera salita e poi una discesa piuttosto “secca” verso la Perla delle Dolomiti. Eh, no! Luisa o si fa del male oppure non è contenta: la fa nel senso opposto e io mi spertico in consigli, dandole anche qualche dritta su quel che potrà vedere quando riuscirà ad alzare la testa, tipo lo scorcio sulle Tre Cime di Lavaredo quando passerà al Lago di Landro. Finita la gara, su Messenger mi arriva la foto di una medaglia e poi un’altra che è un sole che ride, o meglio un viso che è baciato dal sole della Val Pusteria, ma brillerebbe anche nella nebbia novembrina della bassa Bergamasca.
Ma mica è contenta, la “nostra” e quindi si trasforma in potenziale maratoneta decidendo che per i cinquant’anni vuole arrivare in fondo ai famosi 42.195 metri percorsi da quel pazzo suicida di Fidippide per annunciare agli Ateniesi che a Maratona i Persiani le avevano prese. E memore dei tempi del liceo e delle guerre persiane di Erodoto, si iscrive alla Valencia Marathon. E anche qui io, arrogante come tutti i maschietti, la riempio di suggerimenti prevalentemente inutili, tranne uno che lei capisce perfettamente: “Non gareggiare, corri e basta!”. È testarda da un lato e quindi dentro sa che ce la farà, ma anche intimorita dalla distanza. Capisco che è fatta quando mi racconta del “lungo” fatto sulla nuova ciclabile da Sombreno a Zogno, ma lei non si lascia prendere dall’entusiasmo e continua ad allenarsi.
Valencia è calda, assolata, anche se è il primo di dicembre: la giornata è perfetta per correre e lei fa le cose alla perfezione: corre con regolarità, senza mai forzare, senza fare come quel fessacchiotto di Fidippide: i primi 30 chilometri viaggia come un orologio, sessantatre/sessantaquattro minuti ogni dieci chilometri, poi arriva la terra di nessuno di cui le ho parlato, gli ultimi dieci e lei rallenta ma non troppo, settanta minuti … gli ultimi due sono sofferenza, lenti, ma pieni della gioia di dire a se stessa prima ancora che a chiunque “ce l’ho fatta”.
Perché – sappiatelo - i corridori sono gli egoisti più belli del mondo, il pubblico a cui devono tutto lo vedono allo specchio. E Luisa questa gioia la deve solo alla sua tenacia e alla sua disponibilità ad accettare le sfide, tutte: dal liceo alla famiglia, a correre più di quattro ore e mezza per festeggiare cinquanta candeline.