La milonga in Piazza San Pietro
Dicono che quando papa Francesco, alcune settimane fa, seppe della proposta di festeggiare il suo compleanno trasformando piazza San Pietro in una grande milonga si fece una bella risata e dette subito parere favorevole. Il flash mob partito immediatamente dette ottimi risultati. E così, martedì 17 dicembre 2014, è stato quel che è stato: una festa come deve essere una festa.
Chi ricorda il concerto bolognese con Bob Dylan davanti a Papa Giovanni Paolo II ha l’impressione di trovarsi a due universi di distanza. Certo, quello fu un avvenimento quasi impensabile: era la prima volta del rock davanti a un papa. Ma, rotta la diga, sembra che sia venuta giù una valanga d’acqua davvero inarrestabile. A farla da padrona - tra le colonne del Bernini - non sono state più le parole (Blowin’ in the wind, aveva cantato il più grande dei menestrelli. La risposta non è sciolta nel vento, la risposta è Gesù Cristo, aveva detto il papa): è stata la musica. Non un discorso, ma il corpo, la fisicità dei ballerini. Non l’eccezione di grandi autori o esecutori (ricordiamo fra tutti Dalla e Michel Petrucciani) ma la gente col vestito di tutti i giorni, spacco nella gonna compreso.
Rispetto al concerto archetipico papa Ratzinger avrebbe scritto nel libro sul suo predecessore: «C’era ragione di essere scettici - e io lo ero, e in un certo senso lo sono ancora -, di dubitare se davvero fosse giusto far intervenire questo genere di “profeti”. Eppure le parole del Santo Padre andarono a toccare la domanda che riguarda ciascuno di noi personalmente».
Era questione, allora, di rispondere a una domanda. Oggi, grazie ad allora, sembra sia finalmente giunto il tempo di poter accogliere qualcosa che si esprime in una danza. Mozart non ha mai fatto obiezione in Vaticano. Perché dovrebbero farla Piazzolla o Gardel? Perché nel tango c’è il corpo e in Mozart, o Beethoven o Schubert no - potrebbe rispondere qualcuno. Appunto: Francesco è il papa del corpo. Il papa che - in confessione - chiede non solo se si è fatta l’elemosina, ma se si è guardato il povero negli occhi e si è messa la propria mano nel palmo della sua. Se c’è stato contatto fisico.
L’idea di questa festa italo-argentina è venuta a Cristina Camorani, romagnola, veterana del tango, fan di Francesco come Patti Smith di papa Luciani e - sembra - anche di questo. Non è che se si viene dalla tradizione del liscio - o dall’amicizia di uno come Robert Mapplethorpe - non si possa esser lieti che esistano un uomo come il nostro papa e quell’Altro, che lui rappresenta.
Abbiamo visto pontefici col copricapo pennuto dei Pellerossa o col caso giallo dei lavoratori di un’acciaieria. Folklore. Mai ci era stato dato di vedere un popolo che chiedeva semplicemente di essere guardato per poter esprimere il proprio omaggio al vicario di Cristo come fosse nel Barrio Viejo di cui canta Gardel.
Tanti anni fa nella parrocchie - e anche in certe scuole - ogni tanto tornava un film la cui pellicola era graffiata dalle tante volte che aveva girato nella macchina da proiezione. Si intitolava “Le jongleur de Nôtre Dame” (Il giocoliere della Madonna) e raccontava la storia di un bambino che, vivendo in un convento, non era capace di far nessuna delle cose nelle quali i monaci erano bravissimi: non sapeva leggere, né cantare, né rispondere alle antifone. Ma una sera i compagni giovani e anziani lo sorpresero mentre stava giocando con le sue clave davanti alla statua della Madonna. E Lei, nella luce, lo guardava commossa. Un miracolo.
Il miracolo che vorremmo tutti, quello di poter fare quel che si sa davanti a qualcuno, per fargli vedere che gli vogliamo bene e che ci sentiamo corrisposti. La cosa più inverosimile dei miracoli, ha scritto Gilbert K. Chesterton, è che accadono. Tutto sommato ci sentiremmo di dargli ragione.