Lo studio dei ricercatori di Boston

Pregare fa stare davvero bene (nel senso scientifico del termine)

Pregare fa stare davvero bene (nel senso scientifico del termine)
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La puntata natalizia di Voyager - il programma di Roberto Giacobbo su Rai2 elevato alla gloria dell’auditel per la vicenda del misterioso e ferocissimo chupacabra - si era occupata della Madonna. E così, passando da Efeso a Fatima, e tornando da Lourdes a Istanbul, l’autore si è imbattuto nella questione del Rosario, la preghiera preferita da Bernadette Soubirous e dalla Bella Signora della grotta di Massabielle.

Sull’argomento Giacobbo ha voluto intervistare nientemeno che il professor Herbert Benson, fondatore del Benson-Henry Institute for Mind Body Medicine al Massachusetts General Hospital di Boston, lo scienziato che da quarant’anni si dedica a verificare gli esiti benefici della preghiera ripetitiva sul nostro organismo. Il rosario è una di quelle.

 

 

Pregare fa stare bene. In maniera del tutto indipendente da Voyager, LaStampa.it ha dedicato alla faccenda un intero articolo: “Prayer therapy”, è scientifico: pregare fa guarire. Riassunto: «Gli studi quarantennali dell’americano Herbert Benson confermati da ricerche moderne internazionali. La preghiera e la meditazione riescono a modificare il profilo genico e a depotenziare le sequenze cellulari pericolose per la salute».

Vi si legge quel che già avevamo appreso dalle labbra di Benson - ossia che sempre più numerosi studi scientifici hanno trovato che la preghiera produce inaspettati effetti benefici sulla nostra salute (inaspettati, si intende, da chi non è uso alla preghiera). Vi si trovano le credenziali scientifiche del professore di Harvard («Il primo ad aver dedicato quasi 40 anni di lavoro sullo studio del rapporto tra preghiera e salute») e la citazione dell’ultimo articolo sull’argomento pubblicato sulla rivista Plos One. Vi si racconta che il suo studio «ha analizzato i profili genetici di 26 volontari, nessuno dei quali aveva mai pregato o meditato in modo regolare prima di avviarli ad una tecnica di routine di rilassamento della durata di 10-20 minuti, che comprende parole/preghiere, esercizi di respirazione e tentativi di escludere i pensieri quotidiani. Dopo otto settimane i ricercatori hanno analizzato nuovamente il profilo genico dei volontari. Ebbene, dai risultati è emerso che sequenze di geni importanti per la salute sono diventate più attive e, analogamente, sequenze di geni potenzialmente nocivi sono diventate meno pericolose».

A taluni potrà parere strano, ma i 26 soggetti presi in carico hanno realmente fatto registrare ottime performances nell’efficienza dei mitocondri (le “centraline energetiche” delle cellule), hanno davvero imparato a produrre una maggiore quantità di insulina e a ridurre la produzione dei radicali liberi - risultati che di solito si ottengono assumendo alcuni cibi, ci sembra.

Ovviamente traguardi del genere hanno - in contemporanea - ridotto sensibilmente le infiammazioni croniche, abbassato l’ipertensione, diminuito il rischio d’infarto, mandato in soffitta il terrore di morire di un cancro al colon. Il tutto in meno di due mesi, come si è detto. Il prossimo ad essere sconfitto sarà, probabilmente, il mieloma multiplo.

 

 

Gli studi scientifici di verifica. Dato che Boston non è Sassocorvaro - pure sede di un efficientissimo ospedale, il Lanciarini, dove però si parla in prevalenza marchigiano - studiosi di tutto il mondo e capaci di parlare e scrivere inglese hanno voluto verificare l’attendibilità dei risultati del collega Benson, trovandoli resistenti a qualsiasi attacco, per scettico che sia.

«Un gruppo di ricercatori dell’Università di Pavia, ad esempio, ha scoperto che recitare il rosario consente di abbassare il ritmo respiratorio in modo da migliorare l’attività cardiaca e ottenere una migliore ossigenazione del sangue con conseguente abbassamento della pressione arteriosa. Lo studio, pubblicato sull’autorevole British Medical Journal, avrebbe quindi dimostrato che la preghiera ha degli effetti positivi sul cuore, letteralmente».

Noi speriamo con tutto il nostro cuore - siamo per altro in tema - che Benson abbia ragione e che le benefiche sperimentazioni da lui avviate si estendano ad una platea significativamente superiore a quella iniziale.

Che cosa si intende per “preghiera”. Ci permettiamo tuttavia di osservare che le tecniche di rilassamento comprendenti parole/preghiere, così come gli esercizi di respirazione e i tentativi di escludere dalla mente i pensieri quotidiani - arte in cui risulta talora impegnato il vecchio Shifu, il Maestro di Kung-Fu Panda - non coincidono esattamente con la preghiera quale la intendono i credenti delle diverse religioni.

Ogni studente serio che si appresti ad imparare una lingua straniera - soprattutto se lontana dall’idioma in cui è stato allevato, come potrebbe essere il serbo-croato per un italiano - sa che al momento di mettersi a ripetere le frasi modello fino a farsele entrare bene in testa, deve: sedersi in modo da mantenere una buona simmetria, respirare profondamente, pronunciare lentamente le proposizioni una alla volta con una o più soste a seconda della lunghezza e per tante volte fino a quando, a forza di sentirsele dire, si accorgerà di ripeterle come un mantra. Vale anche per i versi di Eschilo o di Lermontov, intendiamoci.

Simili mantra in serbo-croato regolano certamente il respiro, fanno sicuramente abbassare l’ipertensione, migliorano senza dubbio il mitocondrio, ma non si può dire che costituiscano - e questo è sicuro - un momento di preghiera. L’arte più difficile del mondo, il respiro, è da sempre nell’obiettivo di chi vuole imparare a star bene. Ora è vero che chi prega (nel senso religioso del termine) impara anche a respirare, soprattutto se prega a lungo, in maniera ritmica e magari in coro con altri. Ed è probabile che possa anche acquisire i vantaggi bensoniani, ora che lo sappiamo. Abbiamo invece qualche dubbio sulla praticabilità del percorso inverso, ossia sul fatto che gli esercizi di respirazione possano di per sé favorire l’abitudine alla preghiera o anche solo indurre la sua scoperta. Chi prega, infatti, in genere non si focalizza sul proprio DNA o sui numeri dell’apparecchietto misura-tutto che usa mentre fa jogging. Per sua natura la preghiera implica infatti qualcuno cui rivolgersi (una preghiera senza un interlocutore è come un cellulare senza SIM), qualcuno che gli articoli di Plos One hanno dimenticato di citare negli aknowledgements di rigore nelle università americane. L’elenco in rima degli abitanti di Uppsala o un mantra qualsiasi potranno forse (forse) evitare un blocco atrioventricolare previsto per il pomeriggio e richiamare la musica delle litanie lauretane, ma difficilmente potranno far sì che Maria Santissima si rallegri per essere stata chiamata per nome e lodata per le sue infinite bellezze.

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