Quel festival segreto nel bosco (con tanto di band da San Diego)
C'è chi assicura che qualche giorno fa, nel bosco, un sabba di anime belle si sia ritrovato sotto la luce della luna spuntata dal monte poco dopo mezzanotte. Celebravano il rock come concetto, non come genere musicale. Uno degli eventi più belli a cui si sarebbe potuto assistere quest’anno, se davvero ci fosse stato, e quindi se davvero se ne potesse parlare senza evitare riferimenti espliciti. Una notte di musica e magia attorno a un grande carpino, che del resto a quella notte dà il nome. Si favoleggia che questo festival segreto si tenga ogni due anni sulle morbide colline cariche di vigneti della Bergamasca, in una radura appena sotto un minuscolo casello di caccia, raggiungibile camminando per 5 minuti tra filari e cascine, per poi addentrarsi nella vegetazione. Non lontano ci passano Briantea e ferrovia, ma dalla strada non si sente neppure un colpo di grancassa.
Foto di Luca Granfors per Boaness Music
[ La terza fotografia è di Luca Granfors per Boaness Music ]
La natura dell’artefice-tipo di questa magia rimane, nei racconti degli avvistatori, un ibrido tra il tecnico del suono, il chitarrista che ha cominciato suonando con gli amici in cantina e il barista improvvisato. Ibrido ma perfezionista e saturo di verve creativa, con palchi fatti di rami e bancali, luci colorate sulla vegetazione a costituire la scenografia moderatamente psichedelica, generatori di elettricità, drink niente male, lattine di birra, panini caserecci. Inventiva, lavoro di squadra, natura, amicizia. Vibrazioni positive.
Chi avrebbe suonato. La line-up sarebbe stata messa in piedi con un lavoro sapiente e paziente. L’alternanza tra palco maggiore, il “carpino”, e il più intimo “cosmic stage”, limata al minuto, con un certo rispetto della biodiversità dei generi, dal prog’n’roll sperimentale e spaziale degli Animatronic, cioè Luca Ferrari (batterista dei Verdena), Nico Atzori, Luca Worm, al post funk/hip hop dei bergamaschi Durty Geeks, una sferzata di colpi di basso, batteria, tastiere e campionature; dai sogni analogici con basso e chitarra dei Cacao, da Ravenna, all’hip hop di Boaness. Il gran finale con gli ospiti internazionali, tali Schizophonics, che avrebbero messo a tacere le derive borghesi di certo rock per riportarlo al rapporto primigenio con la nuda terra. Perché la band nata in un “sobborgo” a 30 miglia a nord di Tijuana, in Messico, meglio conosciuto come San Diego, fa degli show semplici eppure esplosivi la propria cifra. Sempre che ci fossero davvero loro, nel bosco.
L’asse portante del gruppo è formato da una coppia sposata, Lety e Pat Beers, ma c’è anche un bassista. Lety suona la batteria e tiene i piedi per terra, Pat tiene il pubblico sotto shock con la sua chitarra e la sua energia mostruosa. Non sta fermo un attimo, sfoggia spaccate che neanche Carla Fracci, si rotola nell’erba, si butta con l’asta del microfono in mezzo al pubblico. Porta lo show tra la gente, diciamo. Impossibile restare indifferenti. Inciampa, salta, piroetta. «Questo è solo il modo in cui sento la musica. Il rock and roll dovrebbe essere un’esplosione – ha detto, candidamente -. Non ho avuto nessun infortunio grave, ma di solito esco dal palco con qualche piccola cicatrice da battaglia, che fa male davvero solo quando faccio 30 spettacoli di fila in tour. Mi diverto e rischio. A qualcuno sembra stupido, ma è qualcosa su cui non ho alcun controllo».
Fino all’alba. Ed esauriti i live, dj set con Big Boss Maciste e altri fino al mattino, perché una situazione come questa andrebbe portata dal tramonto all’alba. Quando i sogni migliori svaporano al primo raggio di sole che filtra tra le foglie.