Quelli accorsi al porto alle 3 di notte per portare le coperte agli immigrati
Erano le 21 del 30 dicembre quando, alla prefettura di Lecce, è arrivato l’allarme: una nave con a bordo circa 800 migranti siriani era stata abbandonata in balia delle onde. Le Capitanerie dei porti di Gallipoli e di Bari stavano intervenendo proprio in quegli istanti per evitare un’immane tragedia. Bisognava organizzarsi. L’attracco è avvenuto appena 6 ore dopo, nel porto di Gallipoli. Tutti salvi i 797 profughi (tra loro anche 40 bambini) presenti sul cargo Blue Sky M, partito prima di Natale dal porto turco di Marsin e diretto a Catania, prima che il comandante abbandonasse il timone e lasciasse la nave e il suo carico umano in balia del mare. In appena 6 ore è partita una macchina di solidarietà perfetta, dove Istituzioni, organizzazioni non profit e semplici cittadini hanno collaborato con sincronismo raro, regalando a tutti i migranti la pace dopo la guerra.
Orgoglio italiano. Come ha funzionato la macchina di soccorso sulle coste pugliesi lo racconta Paolo Conti in un articolo per il Corriere della Sera. Tutte le prefetture pugliesi, nonostante le difficoltà che ogni Capodanno porta con sé, si sono coordinate alla perfezione. La Polizia si è attivata immediatamente per garantire la sicurezza dei migranti una volta sbarcati. Servivano medici e pasti caldi: le Caritas locali, l’ospedale di Gallipoli e l’Asl di Lecce hanno provveduto ad occuparsi di tutto questo. In tutta la provincia sono stati preparati punti di accoglienza. Alla fine erano circa 100 i “dormitori” messi a disposizione. La Caritas di Lecce e quella di Nardò hanno tentato, in poche ore, di raccogliere il maggior numero possibile di vestiti, maglioni, coperte, cappelli, scarpe e altro cibo. Il sindaco di Gallipoli non ha lanciato alcun appello, in quelle ore c’era ben altro a cui pensare, eppure, alle 3 di notte, lentamente il porto s’è riempito di persone che portavano chi una coperta in più, chi delle bevande calde, chi un giubbotto, chi un semplice sorriso. Mentre le ultime brandine venivano posizionate dagli eserciti nei vari dormitori messi a disposizione, gli immigrati venivano accolti dalla parte migliore del nostro Paese, quella generosa e amorevole.
Viaggio, bombe e botti. Al giornalista del Corriere è Muhammad a raccontare la sua storia, che poi è quella di quasi tutti: 47 anni, ottima educazione, un lavoro come ingegnere civile nella sua terra. Poi la guerra, la sofferenza, la perdita di tutto. E la decisione di voler tentare di scappare per tornare a vivere e smetterla di tentare solamente di sopravvivere. Per questo, tutte quelle persone, son state disposte a pagare ben 6mila euro agli scafisti per tentare di realizzare il loro sogno: avere una vita, magari in Germania, Danimarca, perché no in Svezia. Nessuno vede l’Italia come una meta d’arrivo, non più almeno. Quando Muhammad e gli altri vengono a sapere che il comandante della nave e il resto dell’equipaggio sono stati arrestati a Lecce, sorridono. Non gioiscono, ma son contenti che chi ha causato loro sofferenza, almeno qui, paghi. Sarebbero dovuti arrivare a Catania, spiega Muhammad, e invece a largo di Leuca il comandante ha messo il pilota automatico e s’è nascosto tra i migranti, dando l’allarme. Poco importava del mare agitato e degli scogli del Golfo di Otranto in agguato.
Ora si trovano tutti in questi dormitori improvvisati. Sorridono finalmente. La notte del 31 dicembre, però, il panico ha riempito nuovamente i loro occhi. Difficile spiegar loro che quei lampi di luce e quei botti fragorosi non erano bombe, ma solo un modo di festeggiare l’arrivo del nuovo anno. In Siria rumori del genere erano sinonimo di una cosa soltanto: morte. Da adesso impareranno anche loro, forse, che quei rumori possono anche voler dire festa. E gran parte del merito è anche di quelle persone che, in piena notte, sono scese al porto per dare il benvenuto a dei disperati in fuga dall’inferno, come ricorda anche Muhammad, con una mano sul cuore e poche parole commosse: «Italy good country». L'Italia è un Paese buono.