Questa squadra ci sfinisce di gioia

Cosa possiamo aggiungere alla magia se non solo un po’ di sana follia? Per raccontare lo stadio nella sera di Atalanta-Juventus non c’è nulla di razionale a cui ci si può aggrappare. Nulla. Sotto 2-0 in casa con la squadra che si lotterà lo scudetto anche quest’anno con il Napoli, quella banda di ragazzi indemoniati capitanata dal Papu Gomez ha combinato qualcosa che appassiona tutti. Una prestazione che ci ha incollati ai seggiolini dello stadio o davanti alla tv. E dopo un mese come quello appena trascorso, c’è una cosa che tutti devono ficcarsi bene in testa: questa Atalanta non è solo cuore, grinta e determinazione, ma siamo di fronte, semplicemente, ad una squadra forte. Per certi versi, fortissima.
La domenica sera nello stadio esaurito. Per qualche mancanza nel settore ospiti, nemmeno questa volta si è sfondata quota ventimila presenze, ma il clima nell’impianto di viale Giulio Cesare era comunque elettrico. Fin dalle 19, nella zona degli juventini un brulicare di poliziotti lasciava trapelare una certa tensione per l’arrivo dei tifosi piemontesi e quando si è alzato anche l’elicottero il rischio di vedere le solite immagini di problemi e incidenti rimandate a ciclo continuo, per un attimo, è sembrato dietro l’angolo. Fortunatamente non è successo nulla e ci siamo potuti godere una delle sfide più affascinanti del campionato. Per la verità, l’attesa non era la stessa di altre volte. Sarà stato per i postumi di Lione, per la cavalcata europea o piuttosto per una squadra che ormai ci ha abituati a fare talmente bene che non si aspetta più l’impresa contro la Juve per essere davvero felici, ma la verità è che la sfida è iniziata con tanto tifo ma senza la tensione dei giorni peggiori. In campo, la Juve ha iniziato subito a fare la Juve, eppure i tifosi orobici hanno sottolineato più qualche errore di troppo di Spinazzola o la papera di Berisha sul vantaggio ospite piuttosto che qualche fischio discutibile di Damato o la presenza di tanti juventini in giro per lo stadio.




















Quei quindici minuti di follia. Sotto di due gol (bravo Higuain in occasione del raddoppio) e con le gambe pesanti, il sottoscritto ha guardato l'amico e collega Giacomo Mayer (proprio lui, che ha indovinato il pareggio di Lione beccando pure il nome del marcatore francese...) e gli ha detto: «Ho il timore che siamo vuoti nelle gambe, la vedo durissima». Lui, baffetto navigato e occhi sgranati, mi ha guardato come se per una volta lo avessi convinto davvero, ma siccome il calcio e l’Atalanta sono una roba incredibile ecco che dopo una manciata di minuti si è riaperto tutto. La punizione del Papu e il tap-in di Caldara hanno improvvisamente riacceso la follia dell’ex (oramai) Comunale e nell’ultimo quarto d’ora del primo tempo sembrava di stare dentro a un frullatore. La Dea e la sua gente hanno spinto duelli uno contro uno a tutto campo, le forze son tornate e grazie ad un Ilicic in grande serata (male Cornelius, ma si rifarà) si è riaccesa una speranza che alla fine è diventata realtà. In quei quindici minuti di autentica follia orobica, la bolgia ha spinto le giocate e Mandzukic (mica l’ultimo arrivato) sembrava un agnellino in balia dei leoni.
Var, non Var e la regola della giustizia. Nella ripresa, la Juve ha ricominciato a macinare gioco. Sulle tribune i tifosi si sono seriamente preoccupati in almeno un paio di circostanze, ma poi, per fortuna, è arrivato il Var. Perché bisogna essere onesti: per la prima volta, a Bergamo, un potenziale errore clamoroso a favore della Juventus è stato corretto dalla tecnologia (stiamo parlando in particolare del gol annullato a Mandzukic). È un giorno storico, segnatelo sul calendario. Allegri si arrabbia ma, episodi alla mano, dovrebbe stare più sereno: la gomitata di Lichtsteiner era da "arancione" e pochi minuti dopo lo svizzero è stato graziato visto che nella cintura al collo rifilata al Papu (ammonito) poteva nascondersi pure il secondo giallo. Il rigore per fallo di mano di Petagna, invece, è letteralmente inventato. Non serve una laurea in medicina, basta qualche nozione di anatomia: la spalla e il braccio sono due cose distinte. I tifosi di casa, per la prima volta e contro una grande squadra, sono stati messi alla prova dal Var. Attendere 30, 40 o 50 secondi la decisione davanti al monitor è snervante ma lo stadio lo ha accettato anche senza capire il perché del rigore. Tra un insulto a Lichtsteiner (pare sia il più odiato di sempre a sentire i mugugni) e le proteste per i falli fischiati ad ogni contatto, bisogna accettare lo strumento di giustizia: non è infallibile, va migliorato, ma il Var permette di risolvere situazioni che diversamente resterebbero impunite.
L’esaltazione dell’amore di un popolo per la sua squadra. Var a parte, chiudiamo sottolineando alcuni momenti che resteranno per tanto tempo nel cuore di tutti. Su quel cross del Papu che Cristante in terzo tempo ha scaricato di testa alle spalle di Buffon, si è accesa la sana follia di un popolo che è completamente, perdutamente e carnalmente innamorato della sua squadra. Proprio così, carnalmente: i tifosi sulle tribune finiscono le gare sfiniti. Ed è bellissimo che sia così. Anche perché più la Juventus ci provava, più la gente cantava; quel rigore parato da Berisha ha strappato dalla gola dei tifosi un urlo che non si sentiva da tempo, nessuno poteva pensare che i reduci di Lione e delle tante partite vissute in questo mese avessero ancora la forza per alzare così tanto i decibel. Eppure è successo. Nei sei minuti di recupero, l’occhio è caduto su un signore di circa 50 anni che dalla scala, con gli occhi spiritati, chiedeva urlando ad un amico: «Quanto manca?». Lo faceva ogni dieci secondi. Al fischio finale lo stadio è esploso, Bergamo ha esultato e, dopo pochi minuti, dalla zona del Baretto sono partiti pure i fuochi d’artificio. E va bene così, esultate e siate felici: questa squadra è esaltante per tutti e la sensazione è che il meglio debba ancora venire.