Uno studio londinese

Sentirsi giovani fa stare bene Ora lo assicura anche la scienza

Sentirsi giovani fa stare bene Ora lo assicura anche la scienza
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Avere settant’anni e non sentirli. Ovvero, essere giovani dentro non sarebbe una diceria, ma un dato di fatto che allunga la vita. Almeno secondo quanto emerso da un ampio studio condotto da alcuni psicologi dello University College of London, pubblicato sulla rivista JAMA Internal Medicine, che dimostrerebbe quanto non dare credito all’età anagrafica allontani il  rischio di finire nell’aldilà a causa di una malattia cardiovascolare.

Lo studio. Non serve essere e vivere come degli eterni Peter Pan; sarebbe sufficiente sentirsi addosso tre anni in meno del proprio effettivo genetliaco (usiamo un termine un po’ desueto per dire compleanno, tanto per dare l’idea) per vivere meglio, più attivamente, assicurando al proprio organismo più salute e soprattutto riducendo del 5 percento le probabilità di morire nell’arco dei successivi 8-9 anni.

 

 

Lo attesta una ricerca inglese che ha coinvolto oltre 6500 anziani con una età media di circa 65 anni (comunque non inferiore ai 52 anni) e appartenenti all'English Longitudinal Study of Ageing, uno studio sull'invecchiamento, appunto. I candidati volontari sono stati tutti interrogati con una semplice domanda: quanto ti senti vecchio? Settanta intervistati su 100 hanno risposto di sentirsi almeno 3 anni più giovani della propria data di nascita, 25 su 100 di portare sulle spalle il peso degli anni corrispondenti alla loro vera età e 5 su 100 di sentirsi molto più vecchi. Le tre categorie di giovani-vecchi sono state poi messe in relazione con il tasso di mortalità, con risultati percettivamente significativi.

Infatti, al termine dello studio, fra coloro che dichiaravano di sentirsi più giovani, il tasso di mortalità medio era del 14%, per poi aumentare al 18% in chi si percepiva più o meno della propria età, fino a salire al 25% in quella quota di intervistati che si sentiva addosso più anni del dovuto. Percepirsi più vecchi della propria a quanto pare è dunque un elemento di rischio per malattie cardiovascolari quali infarto, ictus, trombosi, embolia, mentre non vi sarebbe alcuna correlazione dimostrabile fra percezione anagrafica e altre malattie, prima fra tutte il tumore.

 

 

Una relazione inspiegabile. O, quanto meno, non ancora del tutto chiara a detta dei ricercatori che, per dare ragione al fenomeno, hanno valutato fra i partecipanti allo studio anche i problemi di motilità, i fattori dello stile di vita come fumo, depressione e le funzioni cognitive senza però arrivare a trovare un nesso concreto.

La spiegazione più plausibile al momento sembra essere che la percezione della propria età sia influenzata da numerosi fattori, come responsabilità, stress, problemi di salute, depressione, condizione sociodemografica, isolamento sociale, cambiamenti del proprio ruolo sia nella vita privata e in quella professionale. Suggerendo anche che alla base dei tassi di mortalità inferiori osservati in chi si sente più giovane, possano esserci una resistenza in senso lato superiore, un maggior senso di padronanza e di controllo sulla propria vita e una più spiccata voglia di vivere, così come un’attitudine verso l’invecchiamento che favorisce l’adozione di specifici comportamenti benefici per la salute, quali la pratica dell’attività fisica ad esempio o seguire una dieta sana, ricca di alimenti vegetali piuttosto che di componenti animali.

È un’ipotesi che dovrà comunque essere confermata da successivi studi anche se, in direzione della ‘percezione giovanile’, sono arrivate diverse attestazioni e su più livelli.

 

 

L’età mentale è importante. L’accoppiata vincente, per garantirsi un futuro longevo e sano anche in età, sarebbe quella di sentirsi anche mentalmente, non solo fisicamente, giovani. Ovvero conservare oltre che una buona forma fisica, anche le abilità cognitive, come attesta uno studio pubblicato qualche anno fa sul Journal of Gerontology: Social Sciences.

Alcuni ricercatori della Purdue University di West Lafayette, negli Usa, hanno tenuto sotto osservazione per 10 anni circa 500 pseudo-anziani di età compresa tra i 55 e i 74 anni, la maggior parte dei quali all’inizio dello studio aveva affermato di sentirsi più giovane addirittura di 12 anni rispetto alla propria età, comprovando al termine dell’esperimento che la fiducia nelle proprie facoltà cognitive era maggiore in chi si sentiva più giovane.

Secondo gli studiosi, ciò dimostrerebbe come l’età mentale sia in grado di influenzare il processo di invecchiamento cerebrale e quanto il senso di benessere possa incidere positivamente sulle abilità cognitive. Vale a dire che sentirsi più vecchi rispetto alla propria età anagrafica porti a sperimentare gli aspetti peggiori o negativi dell`invecchiamento. Mentre continuare a sentirsi giovani anche in età avanzata aiuta a mantenere la mente lucida e il fisico attivo. Dando, insomma, scacco matto all’età anagrafica.

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