Torna la vita (animale) a Chernobyl Ma per gli uomini è ancora presto

All’1.26 del 26 aprile 1986, Chernobyl e tutta l’area circostante hanno smesso di vivere. In quella terra al confine tra Bielorussia e Ucraina il tempo s’è fermato a un’epoca, per noi, lontana. Sono passati 30 anni esatti. Da quella notte, in quella terra, di umano è rimasto solo il ricordo: edifici abbandonati, mobili, oggetti dimenticati nella fuga. Il ricordo di una vita per lo più felice. La presenza della grande centrale nucleare, infatti, portava ricchezza alla città e a quelle confinanti. Lì si viveva meglio che in tante altre zone dell’ex Urss.
Qualche tempo fa, La Nazione ha ospitato sulle proprie pagine virtuali un interessante diario di viaggio di due fotografi, Emanuele Cosimi e Francesca Gorzanelli, che hanno vissuto 6 giorni all’interno della cosiddetta “Area X”, i 4.200 chilometri quadrati circa della zona di esclusione creata in seguito al tragico incidente nucleare del 26 aprile 1986. Le loro brevi testimonianze quotidiane parlavano di un luogo apocalittico, abbandonato dal mondo prima che dal Signore. L’unica cosa che c’è ancora, oltre a rovine e abbandono, è la natura. Pare incredibile, ma nei racconti dei due fotografi torna costantemente la presenza “animale”: cani, alci, impronte di lupi e cinghiali. Nonostante si pensi che nella zona di esclusione tutto sia morto a causa delle radiazioni, ancora elevate, la realtà è che a 30 anni di distanza dalla tragedia qualcosa è cambiato: è tornata la vita.
A testimoniarlo con certezza la ricerca condotta dall’Università di Portsmouth e pubblicata sulla rivista scientifica Current Biology, che racconta di come l’intera area di esclusione attorno a Chernobyl pulluli di animali: alci, cervi, cinghiali e lupi. Una popolazione selvatica che non esisteva al tempo della tragedia, nonostante la rigogliosa foresta, perché allora le circa 116mila persone che vivevano nelle città si prendevano tutto. La cosa stupisce, anche perché sebbene i livelli delle radiazioni siano calati di molto, restano comunque elevati, troppo elevati per permettere alla popolazione umana di tornare a vivere senza preoccupazioni nell’area. La ricerca è però partita da un presupposto diverso: la tragedia ha offerto, a distanza di anni e per la prima volta, l’occasione unica di poter studiare la reazione della natura, in particolare della fauna, a un tale disastro.
Lo studio pubblicato sulla rivista scientifica rappresenta la prima testimonianza internazionale sui cambiamenti a lungo termine nella popolazione di mammiferi nella zona di esclusione di Chernobyl. Fino alla data di questa pubblicazione, il dibattito sul tema, ovvero la presenza di vita selvatica nell’”Area X” presentava tesi divergenti, frutto di studi poco accurati e datati. La letteratura scientifica relativa all'argomento era ferma a due articoli, pubblicati in rapida successione l’uno dall’altro e rispettivamente intitolati Wildlife defies Chernobyl radiation (La vita selvatica sfida le radiazioni di Chernobyl) e Chernobyl “not a wildlife haven” (Chernobyl, non un paradiso della vita selvatica). Un’altra ricerca testimoniava ripercussioni della tragedia relativamente bassi sulla fauna locale, ma prendeva in considerazione solamente specie di ragni e di insetti. Il recente studio è il primo a considerare invece specie mammifere anche di grandi dimensioni. E qui sta la sua importanza, perché potrebbe dare importanti risposte anche per quanto riguarda il genere umano.
Per la ricerca pubblicata su Current Biology sono stati usati due metodi di studio: il primo prendeva in considerazione le indagini condotte nei mesi invernali compresi tra il 1987 e il 1996, in cui diversi ricercatori hanno sorvolato con un elicottero la zona di esclusione e hanno contato a occhio nudo gli animali presenti, catalogandoli per specie. Successivamente, invece, tra il 2008 e il 2010 sono state effettuate indagini sul campo, con ricercatori che si sono inoltrati nell’area alla ricerca delle specie mammifere presenti. Infine i risultati sono stati confrontati con i dati di studi simili condotti in svariate riserve naturali incontaminate della Bielorussia. È così che si è scoperto che il numero di alci, caprioli, cervi e cinghiali all'interno della parte bielorussa della zona di esclusione è simile a quello rilevabile in altre quattro riserve naturali incontaminate. Il numero di alci e caprioli, inoltre, è aumentato costantemente dal 1987 al 1996 (i caprioli sono cresciuti addirittura di dieci volte). La densità dei lupi, invece, nei dintorni di Chernobyl è superiore di ben 7 volte rispetto a quella di altre zone. Il motivo, secondo i ricercatori, è che nella zona di esclusione non c’è la caccia. Jim Smith, coordinatore dello studio, ha così commentato: «Ciò non significa che le radiazioni siano una cosa buona per la fauna selvatica, ma solo che gli effetti degli insediamenti umani, inclusi caccia e allevamenti, sono molto peggiori».

Ingresso della zona di esclusione di Chernobyl.

L'abbandono di Chernobyl.

Funghi radioattivi.

L'abbandono di Chernobyl.

L'abbandono di Chernobyl.

L'abbandono di Chernobyl.

L'abbandono di Chernobyl.

L'abbandono di Chernobyl.
Un primo importante risultato quindi è questo: l’uomo può fare più male alla fauna di una tragedia nucleare. Ma lo studio non si è fermato qui, perché si è tentato anche di capire quanto i livelli di radiazione sul terreno possano aver influito sullo sviluppo di una specie. In tal senso tutte le ricerche effettuate non hanno trovato alcuna correlazione tra la densità di contaminazione del terreno e la popolazione animale del posto. A questo punto la domanda che tutti si pongono è solo una: Chernobyl è tornato ad essere un posto sicuro? Per dare una risposta mancano però ancora molti dati da considerare. I risultati, infatti, paiono smentire una certezza assodata (fino a oggi), ovvero che le radiazioni ionizzanti siano nocive per gli organismi viventi. Bisogna inoltre prendere in considerazione che gli studi sono stati fatti su una popolazione selvatica che ha potuto vivere in un’area abbandonata dall’uomo, priva non solo dunque della caccia, ma anche dell’agricoltura e del disboscamento. 30 anni sono un periodo di tempo lungo, ma non abbastanza per valutare complessivamente gli effetti delle radiazioni su varie generazioni di esseri viventi. Questo sarà il prossimo compito dei ricercatori.
In diverse zone dell’area di esclusione sono state ora posizionate telecamere che rilevano il movimento e rilevatori acustici, così che sia possibile studiare anche lo stile di vita degli animali del posto. La speranza è che tutto questo offra ulteriori dati. Intanto, però, i risultati ottenuti devono essere la base su cui valutare l’impatto ambientale che avrà un altro tragico incidente, assai più recente, ovvero quello di Fukushima del 2011.