Tre libri da portarsi in valigia (magari uno riusciamo a leggerlo)
Tre. Magari due. Forse uno riesco a leggerlo, se mi lasciano in pace. Parliamo di libri da portarsi in valigia. O da leggere in casa, se uno non va altrove - decisione che con qualche distinguo si rivela comunque la più saggia. Cosa leggere, dunque, nei prossimi giorni?
Rumore bianco, di Don DeLillo (Einaudi)
È l’opera che meglio di qualsiasi altra ci permette di capire il mondo in cui viviamo. Non ce n’è un’altra che sia altrettanto acuta. Che entri così nel dettaglio senza mai perdere in leggerezza. Chiunque intenda rivolgersi a qualcun altro in questi nostri giorni dovrebbe sempre tenerlo sul naso, al posto degli occhiali.
La vicenda si svolge in una cittadina degli Stati Uniti e ha per protagonista la vita quotidiana di una famiglia tipo. Padre professore di Storia del Nazismo (ma non sa il tedesco) nella piccola università locale; madre impegnata nel sociale; figli… figli.
Ci sono anche i colleghi del padre. Uno in particolare, un singolare antropologo dei consumi che viene da New York e abita in un pensionato di derelitti, è particolarmente illuminante. C’è l’emergenza di una nube tossica, ci sono la spesa al supermercato e le lezioni in università grazie alle quali noi europei riusciamo a capire benissimo perché gli Americani sono come sono. Ma non è solo l’America che «è così, esattamente come dice DeLillo». Il rumore bianco - l’atmosfera di morte - ha ormai imbevuto il mondo intero.
Poi, sempre di DeLillo, potreste leggere Libra - thriller sull’assassinio di Kennedy - o Cosmopolis, sulla giornata di un megaricco giovane finanziere di New York che una mattina decide di andare dal barbiere e non diciamo come va a finire perché altrimenti si sciupa tutto. Sono entrambi bellissimi anche questi. Come Giocatori, che contiene addirittura la previsione - decenni prima: il libro è del ‘77 - dell’attacco alle Torri Gemelle. Sono in molti a sostenere che DeLillo deve avere un qualche senso profetico.
Patrimonio, di Philip Roth
È un altro libro che andrebbe letto a prescindere. Roth è uno dei grandi scrittori americani, talmente grande che è il solo, vivente, a essere pubblicato direttamente dalla Libreria del Congresso. Ha scritto libri molto importanti come Pastorale Americana, La macchia umana, Il lamento di Portnoy (per palati robusti) e il recente Nemesis ma numerosi addetti ai lavori segnalano questo come il suo risultato migliore. È un testo breve, chiaro come l’acqua di sorgente, nel quale Roth racconta come ha vissuto la malattia che ha condotto il padre a morire. Dal momento del referto dell’istituto di analisi alla progressiva perdita di coscienza di quello che doveva essere davvero un bel tipo, nei suoi giorni migliori. Bravo Roth.
Il Regno (e gli altri), di Emmanuel Carrère
Poi ci sono i libri di Emmanuel Carrère. Che sono comunque dei bei libri. L’ultimo, Il Regno, è decisamente interessante per come tratta - fra le altre cose - la storia della composizione degli Atti degli Apostoli da parte dell’evangelista Luca. Carrère sa tutto del Nuovo Testamento: ha lavorato per anni ai Vangeli (soprattutto Giovanni e Marco) e il suo testo - come dico spesso - è di quelli che toglieranno la voglia a chiunque di scrivere sull’argomento almeno per vent’anni. Ma non ci sono soltanto gli Atti. C’è anche Parigi di oggi, le lezioni di arti marziali, la vita di Carrère e di sua moglie, la strana storia di una colf. Insomma un bel libro. Molto bello. Però, già che ci siamo, di Carrère consiglierei altri due romanzi. Limònov è la storia - la storia vera - di Limonov, appunto, un personaggio assolutamente inconsueto. Tutto il libro è fatto per farci giungere preparati alla verità di quell’aforisma zen che dice: Chi pensa che un uomo sia migliore - o anche uguale - a un altro non ha ancora iniziato a prendere contatto con la realtà.
Questi due sono romanzi piuttosto corposi. D’estate converrebbe leggere, sempre di Carrère, L’avversario. È la storia, vera anche questa, di un tale che un giorno stermina la sua famiglia: prima la moglie e i figli; il giorno dopo i genitori. La polizia e gli amici vengono così a sapere che lo stragista improvvisato non era affatto la persona che avevano conosciuto negli anni. Jean-Claude Romand - questo il suo nome - si era infatti costruito un’identità fittizia, riuscendo ad eludere qualsiasi sospetto da parte di chiunque. Carrère, che continuò a frequentarlo anche dopo aver scritto su di lui, lo ricorda in alcuni passaggi di Il Regno. E anche noi faremo fatica a dimenticarci di lui.