Esempi da seguire

Tre splendide storie al femminile Quando l'imprenditoria fa del bene

Tre splendide storie al femminile Quando l'imprenditoria fa del bene
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Qualche giorno fa vi abbiamo raccontato cos'è l'innovazione sociale. Per capirla fino in fondo, però, vale la pena scoprire e ascoltare le storie di chi l'ha realizzata davvero. Abbiamo trovato tre racconti tutti al femminile: Riccarda, Francesca e Luciana sono donne coraggiose che hanno scelto un’imprenditoria che fa del bene, volti diversi per una storia di innovazione e rinascita tutta italiana: sono anche le prime tre donne italiane ad essere elette Ashoka Fellow, il riconoscimento dato ai più importanti imprenditori sociali da Ashoka, la più grande rete di innovatori sociali presente in 92 Paesi del mondo.

 

Riccarda Zezza

Dopo due gravidanze e 15 anni di lavoro nell’ambito delle multinazionali, nel 2012 Riccarda Zezza fonda Milano Piano C. Si è resa conto che i meccanismi aziendali non rendono possibile conciliare lavoro e famiglia. Non volendo scegliere tra le due opzioni (A lavoro, B famiglia) decide di crearne una propria, la sua terza via alla maternità. Così nasce Piano C, un coworking, cobaby e una community dove “il lavoro incontra le donne”, fornendo nuovi modelli organizzativi che permettono una maggiore flessibilità tra la vita familiare e lavorativa nel momento in cui arrivano i figli.

Riccarda ha un background in scienze della comunicazione, è una giovane imprenditrice che è stata in grado di creare un network di finanziatori, partner, utenti e clienti attorno a un concetto innovativo, un’idea che si è poi sviluppata anche in un programma di formazione. Così è nato MAAM, Maternity as a Master, un progetto per aziende che, attraverso corsi e seminari, ridefinisce la maternità come percorso formativo legato allo sviluppo di competenze come l’ascolto, l’organizzazione, il multitasking, l’empatia, doti altamente ricercate dalle aziende. Nestlé, Luxottica, Ikea, Pirelli sono tra quelle che hanno già scelto di introdurlo per i loro dipendenti, mentre Bur ne ha fatto un libro.

 

Francesca Fedeli

Anche al centro della storia di un’altra imprenditrice sociale italiana c’è una gravidanza. Quando sette anni fa Francesca Fedeli rimase incinta di Mario dovette restare a letto otto mesi. Sembrava tutto normale finché, dieci giorni dopo la nascita, lei e suo marito Angelo scoprirono che il piccolo aveva avuto una lesione al cervello, un ictus perinatale che aveva danneggiato la parte sinistra. Iniziarono così fisioterapie e riabilitazioni finché i due genitori non conobbero il metodo dei neuroni specchio, secondo il quale, mostrando a un'altra persona come afferrare un oggetto, nel cervello si attivano gli stessi neuroni, come se chi guarda stesse compiendo le medesime azioni. Una via per aiutare Mario a controllare la parte sinistra del suo corpo.

Francesca e Angelo si resero però conto dell’enorme gap informativo con le quali le famiglie nelle loro condizioni si trovavano, una situazione in cui la diagnosi tardiva e cure non adatte ai bambini riducevano drasticamente le possibilità di recupero completo. Così nel 2013, a due anni dalla nascita di Mario, Francesca creò Fight The Stroke, un’organizzazione che offre supporto alle famiglie dei bambini colpiti da ictus perinatale, una comunità di advocacy e condivisione nel percorso di recupero. Fiore all’occhiello dell’organizzazione è Mirrorable, una piattaforma di video-riabilitazione basata sulla teoria dei neuroni specchio.

 

Luciana delle Donne

Nella storia di Luciana delle Donne c’è, invece, la decisione di lasciare Milano per tornare nella sua Puglia. Così, dopo vent’anni di carriera come top manager, nel 2004 passa dal design di canali innovativi nelle banche alla costituzione di Officine Creative, una società no-profit per il reinserimento delle persone svantaggiate. Dall’innovazione bancaria all’innovazione sociale: così Luciana dà vita anche al brand Made in Carcere, che promuove laboratori sartoriali per carcerate. Alle detenute di Lecce e Trani Luciana offre la possibilità di entrare in un percorso professionale legato alla raccolta di tessuti di recupero e alla realizzazione di prodotti all’interno dei laboratori carcerari. Un’opportunità lavorativa che, oltre ad uno stipendio, dà alle detenute una nuova dignità, una chance unica per rimettersi in gioco.

I prodotti di Made in Carcere sono diffusi nei negozi Eataly, in shop italiani e statunitensi e nei due aeroporti di Bari e Brindisi. Tra i clienti c’è anche l’Università Luiss. Un progetto ambizioso che si sta moltiplicando. È stato avviato, infatti, anche il settore maschile, specializzato nella “banca del tessuto” (per il deposito e lo smistamento dei tessuti di scarto delle aziende), la sala taglio e la stampa delle etichette.

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