Un'altra vita di San Francesco (non è vero che amava la natura)
Riassunto della puntata precedente: c’è uno studioso francese, Jacques Dalarun, che da anni (sette, per la precisione) sta cercando di metter le mani su una “Vita di san Francesco” che secondo lui esiste, ma nessuno sa dove sia o come sia fatta.
C’è poi un professore dell’Università del Vermont (USA), Sean Field, che viene a sapere dell’imminente vendita all’asta, nel suo paese, di un manoscritto medievale che forse potrebbe interessare al suo amico Dalarun. Subito gli manda un’email per dirgli: guarda che c’è un manoscritto così e così, con quel che segue. Dalarun si precipita a chiamare Laura Light, la studiosa che ha preparato la descrizione del manoscritto per la casa d’aste che vorrebbe venderlo. Laura Light gli invia la descrizione e diverse immagini del testo, sufficienti a convincere Dalarun di trovarsi di fronte alla “Vita” che stava cercando.
Non disponendo della somma per acquistare il piccolo (cm. 12x18), ma preziosissimo, codice nel quale la Vita si trova assieme ad altri scritti francescani, lo studioso chiama la direttrice del dipartimento Manoscritti della Biblioteca Nazionale di Francia che, dopo una trattativa con la casa d’aste, compra il libro. Fine della puntata. Anzi: Happy End, perché se il libriccino fosse finito nelle mani di un privato difficilmente avrebbe potuto essere consultato da altri oltre che da lui. Così, invece, tutti potremo leggerlo.
Seconda puntata. Silvia Guidi, dell’Osservatore Romano, va a intervistare Jacques Dalarun. E questi le spiega che il testo ritrovato «è un riassunto, scritto in un lasso di tempo che va dal 1232 al 1239, della prima versione della Legenda, considerata troppo lunga dai contemporanei». La Vita (o Legenda) prima, scritta tra il 1228 e il 1230, è la biografia san Francesco, che Tommaso da Celano scrisse su invito del papa Gregorio IX e che riassunse poi nel 1230 (Legenda ad usum chori) scontentando però una parte dei francescani. (Per i non addetti, ricordiamo che il termine latino “Legenda” non significa “Leggenda”, ma “Cose da leggere”, cioè “da sapere” a proposito di fatti, circostanze e altro).
Tommaso riprese allora in mano il materiale e tra il 1246 e il 1247 lavorò ad una seconda redazione dell’opera profondamente rielaborata: la Vita (o Legenda) secunda, particolarmente autorevole per il contributo che vi arrecarono le memorie francescane raccolte dai tre “socii speciales” del santo, Leone, Angelo e Rufino. La Vita riemersa in questi giorni si colloca tra la prima e la seconda redazione.
È interessante un’osservazione di Dalarun sul metodo di procedere del biografo, il cui corpo riposa oggi nella chiesa di San Francesco a Tagliacozzo (AQ) dove è venerato come beato vox populi: «Tommaso da Celano era un uomo molto profondo e non ha mai smesso di riflettere sull’insegnamento di Francesco. In un certo senso si potrebbe dire che il biografo, col passare degli anni, capisce... di non aver davvero capito il messaggio di Francesco. Di averlo raccontato, ma non realmente capito». Cose che capitano. E se Tommaso è stato un grande nell’aver pensato così del (e grazie al) suo lavoro, possiamo esser davvero grati a Jacques Delarun, non meno grande per avercelo fatto vedere.
Che cosa “non aveva capito” di san Francesco il suo fedele fraticello? Due cose: che quando Francesco parla della povertà non ne parla «in senso simbolico, allegorico o solo spirituale, ma reale: significa indossare gli stessi vestiti e mangiare lo stesso cibo dei poveri». Francesco, lo abbiamo già scritto, era uno che le cose voleva capirle col corpo, prima che con la testa.
La seconda: «il tema della fraternità con l’intera creazione. All’inizio Tommaso parlava di questo come di qualcosa di mirabile, strano e stupefacente, ma sostanzialmente estraneo alla sua esperienza. Ben scritto, ma distante. Nella riscrittura invece riflette sul fatto che la fraternità con la creazione riguarda anche gli esseri privi di ragione, non solo gli esseri umani; è un discorso anti-identitario. Siamo diversi ma fratelli, perché tutti discendono dalla paternità del Creatore».
E conclude lo studioso: «Per questo, non sono d’accordo quando sento dire “Francesco amava la natura”: è un concetto pagano. Francesco amava i suoi fratelli uomini e animali perché figli di uno stesso Creatore».
Ci verrebbe da esclamare: Laudato sí mi Signore! finalmente uno (anzi due) che capiscono davvero san Francesco.
Adesso non ci resta che attendere la pubblicazione di questo testo, di cui sono in preparazione anche le traduzioni francese e inglese ed è iniziata quella in italiano. Ma il latino medievale di Tommaso, beato vox populi, è così bello (e... abruzzese), che leggerlo tradotto sarebbe come ascoltare Troisi in «Ricomincio da tre» doppiato in tedesco. Teniamo il testo a fronte, quando la leggeremo.