Viaggio nell’Iran moderno
Quando si parla di Iran, si pensa automaticamente alla guerra, al fondamentalismo, a un mondo arretrato, lontano anni luce dagli standard di vita occidentali. Donne col velo, povertà, estremismo islamico. Stereotipi figli della cronaca che giunge alle nostre orecchie da tempo, filtrata dalla triste realtà del terrorismo, dell’Isis, degli Hezbollah. In realtà, però, l’Iran è tanto altro. È, ad esempio, il Paese arabo meno arabo che esista. Non si mangia per terra, ma sul diwan, una seduta elegante e, per certi versi, quasi borghese. La lingua araba è ritenuta una minaccia perché stava per cancellare quella che gli abitanti dell’Iran ritengono invece la loro vera lingua, il farsi. Sono, per la maggior parte, sciiti e non sunniti. Alle spalle hanno una storia millenaria: si ergevano come impero quando ancora il Medio Oriente era un ammasso poco omogeneo di tribù. Non chiamateli iraniani, loro sono e si sentono persiani. Insomma, l’Iran è una realtà assai lontana dall’immagine che noi, nel Vecchio Continente, abbiamo.
Un Paese ricco di ossimori. In un approfondito articolo pubblicato su Quotidiano Nazionale, Massimo Gagliardi ha raccontato il suo viaggio nell’Iran vero, quello moderno. Dalla sua narrazione traspare un evidente ossimoro non solo tra l’immagine dell’Iran che abbiamo noi e quello che invece è realmente, ma anche tra quello che l’Iran è politicamente e quello che, invece, si respira visitandolo. Innanzitutto, a differenza di tanti altri Stati dell’area medio orientale, l’Iran ha un sistema autostradale sviluppato e ottimamente funzionante, che lo rende facilmente visitabile. La rete ferroviaria è discreta, i trasporti pubblici funzionano ed esistono anche quattro compagnie aeree che compiono voli nazionali. Seppure il Governo (anzi, la dittatura), sia apertamente antiamericana, in realtà chiunque entri in contatto con degli stranieri comunica in inglese. Un inglese non perfetto, ma comprensibile. C’è voglia di conoscere com’è dall’altra parte del mondo, cosa succede, come si vive. I più curiosi sono i giovani: «Ti fermano per strada, ti parlano con l'inglese imparato ascoltando i film o le canzoni – scrive Gagliardi –. Molti l'hanno studiato all'università e appena possono vogliono esercitarsi ma soprattutto sapere: da dove vieni, che lavoro fai, ti piace l'Iran, e via così. Hanno fame di Occidente, sete di sapere, voglia di confrontarsi, di nuovo e di libertà».
Allo stesso tempo, però, l’Iran è il Paese più antiamericano del mondo. Il regime ci tiene a comunicare a chiunque, visitatori e cittadini, che il nemico si chiama America. Lo dice con murales pagati dal Governo e posti nei principali luoghi delle città più visitate, con cartelloni, con video alle televisioni. Lo dice avendo reso l’ambasciata americana a Teheran «un monumento allo sconfitto», chiusa, disabitata. Attorno mura di cinta e filo spinato. C’è ancora un forte culto della personalità di Khomeini, ayatollah, capo spirituale e politico del suo Paese dal 1979 al 1989. Il suo volto campeggia ovunque, dalle moschee alle stazioni. È come se la dittatura volesse costantemente ricordare alla popolazione da dove viene e, soprattutto, verso dove non si deve andare: l’America.
La fame dei giovani. Eppure, nonostante questi contrasti, viaggiando per l’Iran, camminando per le strade delle principali città, si ha la sensazione che la fame di novità dei giovani sia più forte delle imposizioni che piovono ogni giorno dall’alto. L’Iran, ad esempio, non è un Paese per gay: se le effusioni vengono solo fortemente ripudiate, i rapporti completi tra persone dello stesso sesso vengono puniti con l’impiccagione. Eppure capita di incontrare uomini (più delle donne) che si tengono per mano, con ostentato coraggio. I ventenni e i trentenni girano per le strade con jeans, magliette "cool", capelli ingellati e tagliati all’ultima moda. La tendenza hipster è arrivata anche qua. In certi angoli di Teheran pare di essere a Williamsburg, cuore pulsante degli hipster a stelle e strisce. Le ragazze, sotto il velo (per loro non è un’imposizione, ma un piacevole ornamento), sfoggiano pantaloni attillati, tacchi, make-up anche esagerato. Molte hanno un cerotto sul naso: in Iran c’è stato un vero e proprio boom di rinoplastiche. Soprattutto le donne desiderano un naso “all’Occidentale” e appena hanno messo da parte abbastanza soldi, corrono nella prima clinica a rifarsi. Vengono anche dai Paesi del Golfo perché a Shiraz c'è una clinica molto rinomata per la chirurgia estetica.
Davanti a questa “deriva occidentale” il Governo cerca di porre dei limiti, ma con scarsi risultati: la scorsa settimana Mostafa Govahi, capo dell’unione iraniana dei parrucchieri, ha annunciato le nuove norme di comportamento. I tagli alla moda sono considerati «atti satanici», così come i trattamenti di bellezza. Anche farsi la lampada è illegale, segno di adorazione di Satana e di omosessualità, e quindi punibile con la morte. Le nuove regole prevedono il ritiro della licenza a ogni salone che tagli i capelli nello stile satanico; vietano i tagli che mostrino segni diabolici o generalmente adottati dagli omosessuali; sono bandite creste e acconciature “disordinate”. Tutto questo, però, non riesce a contenere la fame di novità dei giovani iraniani, la loro voglia di confrontarsi con qualcosa di diverso e lontano dalla loro cultura. Sono in tanti, nelle università iraniane, ad essere sicuri che il futuro sarà molto diverso a Teheran e dintorni.
Un futuro… verde. I giovani ci sperano, nel futuro, perché si rendono conto che l’Iran ha tutto per poter emergere nel Medio Oriente. A tenerlo imbrigliato in arcaiche lotte di religioni e fondamentalismi è soprattutto la mentalità dei “vecchi”, di chi è cresciuto con ideali ora superati. Nonostante l’Iran venga spesso affiancato all’idea del deserto, la Persia è in realtà la terra dei giardini. Ce ne sono di bellissimi, ricchi di cipressi, aranci, fichi, melograni, piante grasse. L’acqua scorre copiosa nei canali. Le rose sono quasi venerate: con i loro petali si fanno tè, olii ed essenze esportate in tutto il mondo per i profumi. La rosa è la pianta celebrata dai poeti. Le montagne brulle restano solo sullo sfondo, mentre in ogni valle si semina grano, si coltivano frutti buonissimi e ortaggi. Gran parte di questa ricchezza è merito della millenaria tradizione dei qanat, ovvero i canali sotterranei che dalle montagne portano le freschissime acque montane nelle valli e nelle oasi. Ogni angolo dell’Iran nasconde bellezze architettoniche antiche, lascito di popolazioni scomparse ma ancora vive nelle tradizioni. Il potenziale turistico di questo Paese è enorme, ma non è sfruttabile. Non oggi, non ancora almeno. Ma la base c’è già, ed è la gente. Ospitale, sorridente. Gagliardi racconta che una delle domande che gli sono state più spesso poste dai giovani è: «Vieni a mangiare a casa mia?». Questo è l’Iran moderno.