Videogames per curare gli ictus e si sono visti dei miglioramenti

Vi proponiamo la traduzione dell'articolo "These stroke victims are playing video games to cure their paralysis" (Queste vittime di ictus giocano ai videogames per curare le loro paralisi) comparso su fusion.net, firmato da James Hurton.
Maggie Reynolds, 72 anni, sta giocando ad un videogame. Sullo schermo che le sta davanti, un barile si muove dall’alto verso il basso controllato dal suo pugno grazie a una telecamera Kinect di Microsoft modificata per lei e in grado di captare informazioni riguardo alla posizione della sua testa, del suo collo, delle sue spalle, sopracciglia, polsi e mani. Stelle coloratissime sfrecciano attraverso lo schermo, implorando di essere affondate nella profondità del barile. Maggie prende un bel respiro, determinata a catturarne una. I suoi occhi si muovono dallo schermo al suo pugno dritto. Combatte, cercando di alzare la mano di qualche centimetro. Ma il desiderio del suo cervello non può connettersi con i suoi muscoli. Non ce la fa, e un suono goffo di percussioni esce dagli altoparlanti del computer, un segnale che rivela il suo fallimento. Abbassa e massaggia il suo braccio sinistro intorpidito, con il pugno ancora stretto.
La signora Reynolds fissa Luke Buschmann, lo smilzo studente laureato alla Università di Santa Cruz, California, creatore del terapeutico videogioco in cui era immersa fino a un momento fa. Concentrato sul libro di matematica in bilico sulle sue ginocchia, Buschmann non ha notato il suo sforzo e nemmeno che Maggie ha delle buone notizie da condividere con lui. «Questo è stato il mio punteggio più alto», si vanta.
Quattro anni fa, il giorno di Natale, un violento ictus ha derubato la signora Reynolds del controllo che esercitava su metà del proprio corpo ma non del suo entusiasmo. Mentre parla del suo amore per il sole, per i violini e per l’Arizona, siede vigile su una sedia a rotelle rosso rubino nel suo salotto di Aptos, California. Sotto i suoi diradati capelli color rame, il suo volto vivace è segnato da decenni di risate, ma dal collo in giù i suoi movimenti si limitano a un solo lato. Durante un ictus, un coagulo di sangue o un’emorragia bloccano il flusso di ossigeno a parte del cervello; entro alcuni minuti quella regione si spegne. «Ho avuto un’emorragia nell’emisfero destro del mio cervello, così ho perso l’uso della parte sinistra del mio corpo», mi dice. «Il sanguinamento ha distrutto una grande area del mio cervello».
Circa 800 mila persone hanno un ictus ogni anno negli Stati Uniti. Tra i sopravvissuti, il 75 percento riferisce formicolii o paralisi residui. Un secolo fa, coloro che sopravvivevano a uno stroke venivano incoraggiati a condurre una vita tranquilla e a non muoversi. Oggi, grazie alla schiacciante evidenza della naturale “plasticità” neuronale – che consente al cervello di recuperare vecchie connessioni in modo da evitare la zona danneggiata – le più moderne tecniche terapeutiche promuovono invece il movimento dei sopravvissuti. Una delle terapie più utilizzate per coloro che hanno avuto una compromissione di un lato del proprio corpo, include infatti la restrizione dei movimenti del lato sano e una forzatura degli stessi sul lato debole.
La signora Reynolds è determinata a recuperare ogni centimetro di quello che ha perso, ma questa terapia non potrà aiutarla. Il lato colpito dall’ictus risulta infatti troppo debole per beneficiarne. È per questo che sta tentando la terapia sperimentale con i videogiochi. Buschmann e il suo istruttore, l’ingegnere informatico Sri Kurniawan, stanno testando gli effetti dei giochi dotati di sensori di movimento sulla guarigione dei pazienti che hanno avuto un ictus. Pensano infatti che questo videogame possa aiutare il corpo a riconettersi con il cervello.
Il neolaureato creò il suo primo gioco modificandone uno semplicemente basato su tastiera e mouse e scaricato da un sito internet. Ha semplificato lo sfondo, aggiunto musica ed effetti speciali e lo ha adattato al sistema Kinect. A partire da questo, ne ha ideati altri tre. Un mese dopo, lo ha installato in cinque diverse case nel raggio di alcune miglia dall’Università in cui studia. Ha visitato la signora Reynolds e altri quattro sopravvissuti e li ha fatti giocare cinque volte in un periodo di due settimane. Potevano scegliere tra quattro diversi giochi della durata di 20 minuti ciascuno.
Tutti i volontari che hanno aderito all’esperimento hanno osservato dei miglioramenti nell’uso del lato colpito. Dopo due settimane, l’ampiezza dei movimenti delle loro spalle era migliorata. Ma Buschmann vorrebbe ampliare il numero dei partecipanti; cinque giocatori non sono abbastanza per cantare vittoria. «Volevo fare qualcosa nel campo della riabilitazione virtuale, un campo molto affollato», ha detto Buschmann spiegando le motivazioni del suo studio. Ricercatori, medici e fisioterapisti stanno studiando terapie virtuali da due decadi, sviluppando giochi per patologie neurologiche che spaziano dalla demenza alla sclerosi multipla. Nella sua più ampia definizione, la riabilitazione virtuale include qualsiasi terapia basata su computer o videogiochi che possa essere d’aiuto nella guarigione da una malattia o da un trauma. Prima di focalizzarsi sui pazienti con ictus, Buschmann aveva considerato pazienti ciechi, con problemi all’udito e anche persone afflitte da dislessia. «Credo che ci siano già abbastanza persone che costruiscono armi», ha detto. «Mi piacerebbe dedicare il mio tempo a qualcosa di più dignitoso».
Buschmann non sta approcciando questa avventura esclusivamente dal punto di vista di un programmatore. Il suo approccio alla creazione del gioco è stato modellato da mesi di lavoro sui sopravissuti di ischemie o emorragie cerebrali come una classe di informatica composta da volontari dello Stroke and Disability Learning Center, un centro per l’insegnamento a tempo pieno per persone con patologie nervose che si trova nel campus del Cabrillo College ad Aptos, circa cinque miglia da casa della signora Reynolds.
Quasi 150 tra uomini e donne frequentano corsi presso questo centro ogni semestre – come studenti e non come pazienti – solitamente sotto l’incoraggiamento dei medici di famiglia. Lo staff del centro esamina il caso di ogni studente e consiglia i corsi adatti a ciascuno di loro, incluse le attività motorie, di linguaggio, memoria e ginnastica calistenica, ma anche corsi di ceramica, pittura, canto, ballo, yoga e storia. Quando Buschmann ha deciso di progettare un gioco per queste persone, ha dovuto fare riferimento a Lenny Norton, un fisioterapista che presiede alle lezioni di attività fisica nel centro. Norton ha mostrato a Buschmann i movimenti più difficoltosi da svolgere per soggetti paralizzati da un ictus, gli ha insegnato come i fisioterapisti misurano l’ampiezza dei movimenti e la loro forza e lo ha infine aiutato a reclutare cinque pazienti per testare il suo videogioco.
Grazie ai consigli di Norton, Buschmann ha creato i sui videogame in modo che i giocatori potessero cambiare il braccio da usare a metà del gioco, una nuova aggiunta che è parsa allettante a Maggie Pasquetti. Tre anni fa un ictus l’ha lasciata con una paralisi del lato sinistro del suo corpo. Ma l’assicurazione medica della sessantaduenne non pagò per un’adeguata terapia di riabilitazione agli arti superiori. Cominciò quindi a fare degli esercizi da autodidatta per migliorare la coordinazione del suo arto più debole. Ma lei desiderava di più. «Mi piacerebbe molto riuscire a fare qualcosa di più con questo braccio che tenere una lattina o aprire una busta di pane», ha detto. Le sue motivazioni sono evidenti. In uno dei giochi, la signora Pasquetti ha usato il suo lato più debole l’80 percento delle volte.
Molti ricercatori vedono la terapia virtuale come una promessa. Ma questo campo non ha avuto grandi evoluzioni – nemmeno dopo 20 anni. «Esistono parecchie evidenze scientifiche riguardo al suo funzionamento, ma di quanto sia più efficace è ancora un punto di domanda», ha detto Mindy Levin, un’esperta della riabilitazione virtuale alla McGill University di Montreal. Le variabili per i designer e i ricercatori – dalla progettazione delle console allo studio dei pazienti – rendono praticamente impossibile comparare l’effetto dei diversi giochi con le diverse malattie neurologiche. Queste diverse opzioni però rendono la terapia virtuale adattabile alle esigenze dei pazienti. «Nella realtà virtuale possiamo modificare la pratica in funzione di ciascuno», ha detto Levin.
Sono state mosse delle critiche a questo approccio, spesso da chi lavora nel campo. Le opinioni differiscono riguardo a quale sia il posto appropriato per questo tipo di approccio, ma molti sono d’accordo nel non sostituire le sessioni in cui questi pazienti ricevono un aiuto diretto, una guida e un incoraggiamento faccia a faccia. Un mondo in cui gli anziani spendono tutto il loro tempo con i robot non è quello a cui questi ricercatori aspirano. «Sono degli strumenti. Dipende solo da come decidiamo di usarli», ha detto il neuroscienziato Joaquin Anguera dell’Università di San Francisco, che ha usato i videogiochi per studiare l’apprendimento multitasking tra gli anziani. «Puoi usarli nella maniera giusta o in quella sbagliata».
«Sarà necessario dimostrare che questo approccio sia meglio dei benefici che un ottimo terapeuta può offrire con i metodi tradizionali», sottolinea il neurologo John Krakauner dell’Università John Hopkins a Baltimora. Nessuno studio condotto su larga scala ha ancora valutato la reale utilità di queste terapie sulle patologie neurologiche. «Servono trial ampi con molti controlli», aggiunge Mindy Levin. «E un sacco di soldi».
La stessa cosa vale per i videogiochi di logica venduti agli anziani come prodotti che potrebbero migliorare i loro processi congnitivi e aiutare la memoria. Lo scorso anno, 75 scienziati hanno riconosciuto l’esistenza all’interno del cervello umano di un processo di plasticità che dura tutta la vita e della capacità di guarigione e formazione di nuove connessioni neuronali, ma hanno anche avvertito che la promessa fatta da quei giochi di logica rimane ampiamente incerta e ancora non dimostrata.
Alcuni credono che la mancanza di uno studio ampio non permetta la crescita di alcuni campi, tra i quali quello della riabilitazione virtuale. Altri sostengono l’attuale approccio per gradi. «Potrebbe essere troppo presto», allarma Chen. «Uno studio ben controllato su larga scala potrebbe non essere facile da condurre, anche se alcune delle tecnologie sembrano promettenti». Pazienti con la medesima condizione sono però colpiti in maniera differente e questo fatto rende difficile portare avanti uno studio ampio, ha detto Chen. Ma Chen e Levin elogiano la flessibilità della terapia virtuale e il suo potenziale come strumento di supporto ad altre terapie. Krakauer supporta la terapia virtuale solo in determinate circostanze. Afferma infatti che questi pazienti hanno bisogno di una terapia continuativa, aggressiva ed intensa nel periodo che segue la malattia, e cioè quando la capacità del cervello di autoripararsi è pronta all’azione. Molte delle terapie di oggi, inclusa quella virtuale, non sfruttano questo breve periodo.
I giochi di Buschmann potrebbero avere un potenziale anche al di là la costa centrale della California; potrebbero offrire un’opzione più allettante ed economica ai sopravvissuti di ictus. Ma i videogiochi da soli probabilmente non sono in grado di guarire le persone. Una terapia decisa e personalizzata entro pochi giorni dal trauma rimane cruciale. In quest’ottica, la terapia virtuale potrebbe inserirsi come un supporto nella guarigione a lungo termine.
«Il modo migliore per motivare le persone è scoprire quali sono i loro giochi preferiti e quali le ambientazioni che prediligono», ha detto Buschmann. Uno dei volontari per esempio amava giocare a baseball perchè era stato un atleta prima della paralisi. Applicate adeguatamente, le motivazioni potrebbero essere sfruttate per una miglior riuscita di questa tecnica, facendo la differenza tra eseguire un esercizio una dozzina di volte e poi mollare e completarlo 200 volte al giorno finchè il cervello non oltrepassa la zona danneggiata creando nuove connessioni neuronali.