A Mozzo

Basko vive ancora, con la sua gioia come un murales a colori indelebile

Basko vive ancora, con la sua gioia come un murales a colori indelebile
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«Basko vive». Così ogni anno gli amici ricordano Riccardo Biffi, prematuramente scomparso dieci anni fa. Riccardo era nato il 14 gennaio 1990, terzo di tre fratelli, Vanessa e Viviana le sorelle. Non ha conosciuto il papà Duilio che, un paio di settimane prima della sua nascita, è morto a soli 38 anni. Le cornee del papà sono state donate e la sezione Aido locale ha intitolato la sede al primo donatore di Mozzo. La mamma Giuseppina si è trovata a dover gestire da sola, ma con il conforto dei parenti, tre bambini e l’ultimo arrivato ha portato gioia in una famiglia cosi duramente colpita per la perdita del marito e padre.

Riccardo è cresciuto e come tutti i bambini ha calcato i campetti da calcio nelle squadre del paese di Mozzo. Oltre all’Atalanta, la sua passione era il disegno e divenne naturale la sua iscrizione al liceo artistico dopo le medie. Sono suoi diversi murales in paese, tra i quali quelli alle scuole medie e all’oratorio. Purtroppo nel settembre del 2006, «Tutto è capitato all’improvviso - scrive Viviana - e senza nemmeno capire ciò che in realtà stava succedendo, ci siamo ritrovati in un mondo a noi quasi sconosciuto: medici, analisi, interventi, speranze, termini impronunziabili, terapie e tanto altro. Ma c’era sempre quel sorriso di Ricky che tirava da una parte del viso, gli occhi buoni, all’inizio un po’ la rabbia di un adolescente a cui viene proibito l’uso dello scooter e verso la fine la quiete e la finta inconsapevolezza di ciò che gli stava accadendo. Per non farci preoccupare, assurdo, ma vero: lui che cercava di proteggere noi dal dolore. Era così lui».

 

 

«Ricordo una sera - continua Viviana - in cui la mamma era al telefono nel soggiorno con una dottoressa: “Scusi, se riesce a passare a dargli un’occhiata perché oggi è stata una giornata movimentata e non vorrei che stanotte si senta male”. E lui in stanza che non parlava quasi più e sembrava piuttosto assente, si gira verso di me con i suoi profondi occhi e fa il segno delle corna come scongiuro».

Il racconto di Viviana prosegue: «Molti si domandano come sia possibile avere dei bei ricordi per i momenti passati a lottare contro un terribile male che alla fine ti ha portato via un fratello. Tanti credono che trascorsi dieci anni probabilmente il dolore si allevia, le esperienze infelici si vedono con più leggerezza. Eppure non è così». E l’epilogo della malattia: «Ma qui siamo già verso la fine di questo viaggio. Prima ci sono tante cose che ho condiviso in questo pezzo di vita con mio fratello: il terrore che gli tagliassero i suoi adorati capelli rasta che con tanta fatica gli avevo fatto e che con tanto orgoglio sfoggiava, la voglia di suonare il suo bongo nonostante il mal di testa, le serate alle feste afro, il mettere in ordine la collezione di accendini Smoking, il tentativo di...»

 

Per leggere l’articolo completo rimandiamo a pagina 38 di Bergamopost cartaceo, in edicola fino a giovedì 8 febbraio. In versione digitale, qui.

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