Il bollo della scienza sul crepacuore

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Meno male che la scienza mette il suo imprimatur. Si può morire di crepacuore. Un vero guaio  se non lo avesse proclamato e sancito, dato che in questa epoca orfana di ideali e fede si innalzano immediati e glorificanti altari in nome dell’ipse dixit della scienza, spesso più oggetto di sottomissione superstiziosa che di ammirata considerazione. Meno male che l’uomo della strada, l’uomo medio che incontriamo al bar o al mercato può adesso tirare un sospiro di sollievo e dare libero sfogo ai suoi sentimenti, a passioni quanto meno possibile mediate, ad emozioni forti e coinvolgenti, al pianto liberatorio ma talvolta lacerante, quando lo strazio è talmente crudele da condurre alla morte.

Se fosse mancata l’approvazione della scienza ufficiale, così solida nelle sue asserzioni da averci abituato a sentirci affermare e smentire le identiche cose a distanza di qualche giorno e a seconda della cattedra accademica da cui promanano, ci saremmo sentiti smarriti e disorientati: forse qualcuno avrebbe addirittura alzato il dito contro l’inammissibile sconcio del farsi scoppiare il cuore per la perdita di un fratello. Sarebbe stato antiscientifico e antimorale, perché come ai tempi dell’assioma ellenico bello uguale a buono esiste da un bel pezzo un tacito "divide et impera" tra ragioni dello spirito e quelle della scienza, che nella società rappresenta la più alta legittimazione dell’uomo civilmente evoluto e quindi (?) moralmente irreprensibile.

È dunque andata bene, altrimenti da oggi in poi le già discutibili esibizioni in stile tragedia greca del dolore, tipiche specialmente del meridione d’Italia, avrebbe avuto l’aggravante di provocare disdicevoli conseguenze non ammesse dal consorzio scientifico e quindi piene di “riprovevoli ricadute sociali”.

Grazie al bollo emesso dai soloni del nostro tempo non abbiamo assistito a interrogazioni parlamentari stile “bipartisan” per approfondire da cosa potesse dipendere un simile disagio tra la popolazione e in che modo si sarebbe potuto mettere un freno a forme di deprecabile decesso non previste dalla scienza, né dalla legge. Senza quel tipo di conferma saremmo stati a un passo dal sanzionare la morte per dispiacere, quale forma uguale e contraria all’eutanasia che si autocompiace del piacere. Scienza e morale assieme a non pestarsi i piedi: vedete.

Ma la gente comune, quella bella, che lavora e crede nelle cose semplici della vita, che spera, che ama e si dà senza riserve, quella gente che ha sangue pulsante e caldo nelle vene non ha bisogno che un conclave di incravattati “giusti della scienza” promanino la loro sentenza per sapere se è davvero possibile ( e lecito…) crepare di schianto perché un amore è finito o un amico, la moglie, un figlio ci hanno lasciato per sempre. Se la scienza-morale fosse ininfluente nel nostro contesto sociale non avrei scritto una sola parola su questo argomento, lo è invece eccome e lo fa proprio a danno di quella gente semplice in grado di credere e cedere con fanciullesca ingenuità.

D’altra parte la gente è stata defraudata con sistematica abilità non solo di un sapere tradizionale ma anche di quel buon senso che sostituiva una cultura più raffinata, non si è capaci più di saper distinguere con immediatezza perché è stato strappato a forza il “dente del giudizio”, in quanto comportamento fortemente antiscientifico e quindi politicamente scorretto. Ci lascino in pace, evitando il bilancino dello speziale almeno per quanto concerne la stima di un sentimento antico e privatissimo come il dolore. Tutto il resto apre a future riflessioni.

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