Raccontò un'Italia che ancora amiamo

Guareschi è morto 50 anni fa (però non è mai stato così vivo)

Guareschi è morto 50 anni fa (però non è mai stato così vivo)
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Cinquant’anni fa, il 22 luglio 1968, Giovannino Guareschi moriva improvvisamente, colpito da un infarto. Aveva sessant’anni. Ma non si può dire che Giovannino Guareschi non abbia continuato ad essere una presenza, un riferimento, un fatto più che mai vivo. Per dirla tutta, un fatto di popolo. Lo dicono i numeri. Guareschi continua ad essere tra gli scrittori italiani più letti nel mondo: oltre venti milioni di copie dei suoi libri sono stati venduti e si continuano a vendere, tradotti in 350 lingue, «compreso lo swahili da un missionario che operava in Africa», come ha raccontato il figlio Alberto, «e l’afrikaner. C’è Don Camillo scritto in islandese, in un’edizione rilegata con pelle di foca. Quattro anni fa è stata fatta una traduzione del cui capolavoro in albanese». Manca all’appello solo la traduzione in cinese, per ostilità delle autorità.

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Guareschi
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Guareschi-in-bicicletta-per-stampa
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Candido
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I film su don Camillo e Peppone, ispirati ai suoi racconti continuano a spopolare. Vengono sistematicamente proposti in televisione perché sono sempre una garanzia di invidiabili indici d’ascolto. Anche i papi hanno confessato di tenere sul comodino i suoi libri. Prima lo ha raccontato Benedetto XVI, poi lo ha fatto anche Francesco. Un tedesco e un argentino con questo scrittore italiano preso come riferimento. Francesco ne ha parlato pubblicamente davanti ai vescovi italiani riuniti a Firenze nel 2015 e ha indicato Guareschi come un riferimento per la vita della chiesa, al pari dei santi...: «La Chiesa italiana ha grandi Santi il cui esempio possono aiutarla a vivere la fede con umiltà, disinteresse e letizia, da Francesco d’Assisi a Filippo Neri. Ma pensiamo anche alla semplicità di personaggi inventati come don Camillo che fa coppia con Peppone. Mi colpisce come nelle storie di Guareschi la preghiera di un buon parroco si unisca alla evidente vicinanza con la gente».

 

 

Difficilmente però Guareschi sarà santo. Aveva una natura troppo caustica e schietta che lo portava a non trattenere mai la parola e a non guardare mai in faccia nessuno. Guareschi infatti non è solo pacifico creatore della saga di don Camillo e Peppone. È stato un giornalista irriducibile, fondatore di un giornale che ha documentato senza peli sulla lingua l’Italia dell’immediato dopoguerra con tutte le sue contraddizioni. Il Candido non era solo un settimanale di feroce satira. Faceva anche giornalismo d’inchiesta, in particolare svelando gli omicidi politici compiuti dai partigiani comunisti nel cosiddetto “triangolo della morte”. Più di uno storico ha attribuito a Guareschi e al Candido il merito della vittoria democristiana alle elezioni del ’48. Gli slogan che lui ha coniato in effetti sono entrati nella storia, a cominciare dal più celebre: «Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no». Per una celebre vignetta in cui disegnava un compagno comunista con tre narici, Togliatti lo aveva insultato con l’appellativo di «tre volte idiota moltiplicato per tre».

 

 

Ed è sempre in quel fatidico 1948 che pubblicò la prima puntata della straordinaria saga ventennale che si sarebbe sviluppata in 346 puntate e cinque film. Le vicende si svolgono in un paesino immaginario della bassa padana emiliana, Ponteratto, citato solo nel primo racconto della serie, che negli altri libri viene sostituito da un più generico riferimento al “borgo” che per tutti è più semplicemente il “paese di don Camillo” (solo nei film, girati a Brescello e Boretto il borgo prende un nome). A dispetto dell’anticomunismo del loro autore, don Camillo e Peppone sono gli emblemi di un’Italia che vive senza barricate, di un’appartenenza comune che è più forte delle rispettive appartenenze di fede o di partito. Quando il figlio di Peppone si era ammalato gravemente, don Camillo aveva preso la motocicletta rischiando la vita per portarlo in ospedale. Invece, quando gli estremisti comunisti avevano programmato di uccidere don Camillo, Peppone e i suoi vanno in prima linea pur di salvarlo. Ci sono situazioni in cui don Camillo si ritrova addirittura a fare il tifo perché Peppone vinca le elezioni. Una volta durante lo sciopero si trovano insieme a mungere le vacche perché il bene di tutto il “borgo” per loro è al di sopra delle parti. Può essere che sia un’Italia antica. Certo è un’idea di Italia che ancora amiamo e che vorremmo saper rendere viva.

 

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