È morto il 5 giugno

Il terzo della Banda degli onesti E sì, definirlo così è riduttivo

Il terzo della Banda degli onesti E sì, definirlo così è riduttivo
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E così un altro di noi ci ha lasciato: Giacomo Furia. Tutto quel che può servire a ricordarlo ai giovani o ai distratti - notizie, foto, video - lo ha raccolto Il Mattino di Napoli. Annàtevelo a vvéde.

Giacomo Furia è stato Rosario, il pizzaiolo marito (con corna) di Sophia Loren nel celeberrimo episodio dell’anello in L’Oro di Napoli. È stato il pittore d’insegne che dovrebbe falsificare le banconote da diecimila lire nella Banda degli Onesti, con Totò e Peppino De Filippo.
Eh, no, mannaggia. Perché così ci siamo caduti anche noi, in quella trappola scostumata per cui quando muore qualcuno che non è stato considerato una stella di prima grandezza ci si affanna a dire: ha lavorato con Tizio e con Caio, come se da questi ultimi (Sophia Loren, Totò, Peppino De Filippo; Eduardo stesso che lo scoprì giovanissimo) discendesse un incremento di gloria al defunto. Ma in certi casi si dovrebbe anche poter rischiare l’affermazione contraria, ossia riconoscere che è stato proprio il morto, colui che i lettori meno avveduti tendono a considerare più piccolo, ad aver consentito lo splendore degli altri.

 

https://youtu.be/Fnki-Q4q2Ns

 

Se ne ha l’idea, in questo caso, leggendo la biografia uscita nel ‘97 e oggi - ahimè - difficile da trovare: «Le maggiorate, il principe e l'ultimo degli onesti (Amico Vip), 30 storie inedite su Totò, Sophia Loren, Gina Lollobrigida, i fratelli De Filippo, Vittorio De Sica e Tina Pica, scritte dal giornalista Avitabile e raccontate da Giacomo Furia, con una commovente lettera prefazione di Sophia Loren e gli interventi di Maurizio Costanzo, Marcello D'Orta e Antonio Lubrano» [wikipedia.it].

Che cosa si desume da questo lungo racconto? Quello che gli spettatori che erano giovani nel dopoguerra avevano paura a confessare perfino a se stessi - e figuriamoci nei cineforum impegnati: che andare al cinema, tante volte, era un po’ come cercare una famiglia. E trovarla, diciamolo pure. Quando stavamo lì a vedere come si sarebbe comportato Alan Ladd; o quando cercavamo di intuire, in tutta la nostra ingenuità, se Kane/Gary Cooper avrebbe ucciso il cattivo di turno o se sarebbe morto lui; quando Grace Kelly appariva d’un tratto con quel cappellino da quacchera, lei che non avrebbe dovuto portare armi addosso e invece aveva addirittura sparato, beh, in quei casi eravamo dei veri cow boys e certe volte perfino degli sceriffi.

 

https://youtu.be/1cqBfm_OgYM

 

Ma quando il cinema ci trasportava di colpo a Napoli o a Roma, in certe case che erano fatte - come le nostre - di mastelli zingati, acquai di graniglia e cucine economiche; o vivevamo per strada o nei cortili in mezzo a ragazze sempre - mannaggia - innamorate d’altri, vecchi che non c’era verso che riuscissero a capire qualcosa (anche perché spesso erano sordi), suocere che scambiavano i balconi per palcoscenici da commedia o da opera lirica; allora, dicevamo, quando vedevamo comparire Giacomo Furia capivamo subito che in fondo ci andava bene così. Che perfino vivere poteva essere un’avventura divertente, anche se non eravamo l’amante di quella bonazza di Sophia Loren, ma solo quell’altro, il poveretto ingannato.

Le enciclopedie del cinema dicono che altre due interpretazioni memorabili furono quelle in Il medico dei pazzi (1954, regia di Mario Mattòli) e Totò, Eva e il pennello proibito. D’accordo: se vogliamo fare una classifica, facciamola pure. Ma Giacomo Furia va visto da un altro punto di vista, per il quale vale forse la pena tentare un esperimento. Andate alla sua voce su Wikipedia. Saltate tutta la prima parte e andate subito a Filmografia. Vi ci vuole un’ora per arrivare alla fine. Vuol dire che quando c’era un film dei nostri - con Giovanna Ralli, con altre cicciottelle da capogiro, con qualche avventura strampalata che da piccoli ci teneva ancora in sospeso ma da più grandi ci faceva solo ridere per qualche battuta più idiota delle altre - lui, Giacomo Furia, o compariva ufficialmente nei titoli, o, anche se non si vedeva il suo nome, era come se fosse uscito un attimo a comperare le sigarette, ma si capiva che prima della fine sarebbe tornato. Non era un personaggio: era il clima delle storie.

 

 

Il 5 giugno, mentre lui moriva - e non lo sapevamo - Tv 2000 ha mandato in onda Totò, Fabrizi e i giovani d’oggi. Furia non era nel cast: ma ad un certo punto Fabrizi, per non pagare il conto del pranzo di fidanzamento del figlio con la figlia di Totò, chiede a una cameriera chi lo avesse fatto il giorno in cui si era fidanzata lei. E la donna: «Mi’ padre l'ha pagato». Fabrizi è segretamente soddisfatto di poter lasciare il conto al futuro consuocero. Che ovviamente lo rifiuta e per dirimere la questione domanda nuovamente alla cameriera quale fosse la consuetudine in certi casi. E lei risponde che toccava al padre del futuro marito. Fabrizi scatta furibondo con gli occhi a palla fuori dal cranio e le urla: «Ma se mi avete appena detto che è stato vostro padre a pagare il conto quella volta?» E l’altra: «E che c’entra adesso? Mi’ marito era orfano de guèra!»

Una cosa da Oscar? Da Davide di Donatello? Da Morandini il database del cinema? Ma figuriamoci! Ma a noi - avrebbe detto più o meno un regista del tempo, uno tipo il famoso Camillo Mastrocinque - lavorà ner cinema ce piace perché ce permette di stare vicino a ‘e bbelle donne, perché ce pagano ‘n zacco de sordi. Sempre mejo ch’annà a lavorà, nun ve pare? Ce pare, ce pare che c’hai avuto ragione, caro Giacomo. Anche se poi, quanto a lavorare, nun te se’ fatto manca’ gniente, eh?, n’er tuo piccolo?

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