Adesso fa l'avvocato

Ingroia, il pm contro la mafia che oggi difende un boss pentito

Ingroia, il pm contro la mafia che oggi difende un boss pentito
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Che fine ha fatto Antonio Ingroia? L’ex magistrato palermitano, dopo esser stato per anni l’indiscusso protagonista dei fori nei processi contro la mafia e aver tentato nel 2013 la discesa in politica alla guida del partito Rivoluzione Civile, con risultati decisamente deludenti, al di là di alcune piccole polemiche legate al suo ritorno alla toga, è praticamente sparito dai radar dei media italiani. Fino a lunedì 9 marzo, quando si è scoperto che Antonio Ingroia s’è messo a fare l’avvocato e ha preso le difese di Augusto La Torre, 52 anni ed ex boss del clan di Mondragone, oggi collaboratore di giustizia. Strano destino per un uomo che ha costruito la sua notorietà sull’immagine del magistrato costantemente in lotta con la criminalità organizzata.

 

 

Il selfie dello scandalo. La Torre è uscito la scorsa settimana dal carcere di Ferrara per un permesso premio di pochi giorni. Il figlio è andato a prenderlo all’uscita dal penitenziario e ha scattato un selfie con il padre per festeggiare, foto immediatamente postata su Facebook. In pochi minuti, lo scatto ha raccolto una marea di “like” e di commenti inneggianti al ritorno in libertà del boss. C’è chi si congratula, chi si compiace perché «la tigre è tornata», chi semplicemente lo saluta. Tra i nomi dei commentatori, molti sono quelli legati a famiglie vicine al clan di cui La Torre fu a capo per anni, uno dei più spietati tra quelli dei casalesi. La cosa ha creato molto scalpore e la reazione indignata di soggetti e personalità che da tempo combattono la mafia. Tra questi Benedetto Zoccola, vicesindaco di Mondragone e già in tre occasioni minacciato di morte dalla camorra. Su Facebook, Zoccola ha scritto: «Non condivido per niente ma rispetto la decisione del giudice che ha concesso un permesso premio a La Torre. Al contrario condanno fermamente le 220 ‘persone’ che hanno messo mi piace alla foto del boss e tutti quei cretini che commentando hanno esaltato la persona di Augusto La Torre!!! Voi lo definite “tigre” io lo definisco “cancro”!!».

La Torre è incarcerato dal giugno del 1996 e a lungo tempo è stato sottoposto al regime del 41-bis. Da qualche tempo è diventato collaboratore di giustizia, svelando agli inquirenti l’ubicazione di diversi corpi di vittime del clan e rendendo noti alcuni segreti dei casalesi. Molti lo definiscono cambiato profondamente: in carcere s’è laureato in psicologia ed è diventato vegetariano.

La metamorfosi di Ingroia. Ha stupito molti però che a prendere le difese di La Torre (che ora è regolarmente tornato in carcere), sia stato proprio Ingroia, ovvero un’autentica autorità dell’antimafia italiana. La sua carriera da magistrato s’è sempre contraddistinta per una serrata lotta alla mafia, da qualcuno definita addirittura «nevrotica» per quanto è stata insistente negli anni. Nel 1989 divenne sostituto procuratore a Marsala, sotto la guida di Paolo Borsellino. In quegli anni si formò la sua coscienza giuridica, ha rivelato in seguito. Sempre Borsellino lo volle al suo fianco anche alla procura di Palermo, nel 1992. Il vero “salto di qualità” lo fece poco tempo dopo, quando, insieme a Gian Carlo Caselli, Ingroia divenne pubblico ministero della Procura Antimafia. Iniziò così a occuparsi di molti casi diventati noti: fu a capo del processo a Giulio Andreotti; protagonista del discusso interrogatorio del 1998 al giudice Luigi Lombardini, in seguito al quale Lombardini decise di togliersi la vita; e fu a capo delle indagini riguardo all’ex senatore Marcello Dell’Utri, accusato di aver fatto da ponte tra mafia del Sud e mondo imprenditoriale del Nord. Prima di scendere in politica nel 2013, Ingroia fu uno dei magistrati che con maggior vigore portarono avanti il processo relativo alla presunta Trattativa Stato-Mafia. Con molto clamore, gli ultimi due mesi del 2012 li passò in Guatemala, dove era stato inviato dall’Onu, con via libera del Csm, a capo di un'unità di investigazione per la lotta al narcotraffico. Un’esperienza che durò meno di 60 giorni, perché Ingroia tornò in Italia per candidarsi a premier nelle elezioni del 2013.

 

 

La batosta alle urne e l’addio alla toga. Ufficialmente, Ingroia si candida alle elezioni del 2013 il 29 dicembre 2012, a capo della coalizione Rivoluzione Civile. Attorno alla sua figura, dalle idee politiche molto vicine alla sinistra, si aggregano diversi partiti e movimenti rossi: Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, i Verdi, Italia dei Valori, Movimento Arancio, il Popolo Viola e tante altre piccole organizzazioni territoriali. Dopo una campagna elettorale improntata principalmente contro la figura di Silvio Berlusconi però, i risultati alle urne sono una delusione: alla Camera raccoglie appena il 2,25% e ancora peggio va al Senato, dove Rivoluzione Civile raccoglie l’1,79% delle preferenze. L’esperienza politica di Ingroia, nei fatti, è finita ancora prima di cominciare.

Il Csm, data la discesa in campo politica dell’ex pm, decide che Ingroia sarebbe dovuto andare a vestire la toga alla Procura di Aosta. Ma lui non ci sta e accetta invece la proposta del governatore della Regione Sicilia, Rosario Crocetta, di rivestire la carica di presidente di Riscossione Sicilia, la società che si occupa delle imposte sull’isola. Il Csm, però, si oppone e con 19 voti a favore viene confermato il suo trasferimento ad Aosta, perché unica circoscrizione dove non si era candidato alle elezioni. Ingroia, infuriato, decide di fare ricorso al Tar del Lazio, e appena insediatosi prese subito un mese di ferie. Pochi giorni dopo il Tribunale respinse il ricorso. In forma di protesta, Ingroia annunciò in conferenza stampa la volontà di dimettersi dalla magistratura, dimissioni che però non arriveranno mai perché, poco dopo, il Csm annunciò la decadenza dalla magistratura di Ingroia, non essendosi presentato sul posto di lavoro ad Aosta nei tempi indicati. L’ex procuratore antimafia non potrà più vestire la toga.

La nuova vita di Ingroia. Non potendo più ricoprire l’incarico di magistrato, Ingroia decide di ricoprire il ruolo di avvocato. Il suo primo incarico ufficiale arriva nel settembre 2013, quando diviene il legale dell’Associazione familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, ammessa come parte civile al processo sulla Trattativa Stato-Mafia, ma l'incarico viene revocato poco tempo dopo. Da tempo, intanto, Ingroia ha iniziato anche a scrivere su diverse testate giornalistiche registrate (dal 2012 è iscritto all’albo come Giornalista Pubblicista), tra cui Live Sicilia, L’Unità, Il Fatto Quotidiano e MicroMega, testate molto vicine alle sue idee politiche. Con il suo libro Io So, edito da Chiarelettere, ha continuato la sua “battaglia” nei confronti di Silvio Berlusconi.

Oggi il suo nome è tornato sulle pagine di cronaca per aver accettato l’incarico difensivo dell’ex boss casalese Augusto La Torre. Intervistato dai microfoni di Radio 24, Ingroia ha affermato: «Non vedo nulla di strano nel mio nuovo incarico. La Torre è un collaboratore di giustizia, le atrocità che ha commesso sono il passato. Lo conoscevo già da tempo, lo avevo interrogato più volte nell’ambito del processo sulla Trattativa Stato-Mafia e mi ha contattato recentemente chiedendomi aiuto». Nulla di male, ma certo che è una strana decisione per l’uomo che si era contraddistinto per essere uno dei più strenui avversari della mafia.

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